Napoli, l'identità ritrovata
anche grazie a un robot

Mercoledì 14 Novembre 2018, 18:33
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La ricerca della felicità passa anche attraverso un robot: chi nasce donna e si sente uomo può operarsi al Policlinico della Federico II, e sono oltre venti gli interventi di isterectomia totale già eseguiti, non in laparoscopia ma con la nuova tecnica mini-invasiva. Il centro universitario è l'unico in Italia a praticare questo tipo di chirurgia, da aprile 2016, ora sono disponibili i primi risultati scientifici: i dati, senza precedenti in letteratura, sono stati presentati dai medici Luca Perna e Francesco Improta al congresso La popolazione transgender e gender non conforming (il 19 e 20 ottobre a Napoli). E, presto, saranno pubblicati dal Journal of minimally invasive ginecology . A operare l'équipe coordinata da Giuseppe Bifulco, professore ordinario che spiega: «L'asportazione di utero e ovaie avviene usando la piattaforma Da Vinci Xi con una metodica innovativa che riduce al minimo l'impatto estetico e consiste nel praticare 4 incisioni di circa un centimetro sulla parete addominale». Ma l'utilizzo delle braccia robotiche, aggiunge ifulco, «riduce al minimo anche il trauma sui tessuti, garantendo minore perdite di sangue e un eccellente decorso post-operatorio». È infatti possibile dimettere i pazienti dopo 24-36 ore anziché i 5 giorni di degenza necessari con la chirurgia tradizionale. Così il tasso di complicanze: «Risulta nettamente inferiore». Il tutto avviene nell'ambito del dipartimento materno-infantile diretto da Giuseppe de Placido.

E aumentano i minori transgender o gender non conforming (la cui identità di genere, cioè, non corrisponde al sesso biologico assegnato alla nascita) che chiedono di iniziare percorsi di transizione nei centri Onig. «Ne abbiamo presi in carico già 31 quest'anno, anziché il singolo caso registrato nel 2005» dice Paolo Valerio, professore ordinario di psicologia clinica alla Federico II e presidente dell'Osservatorio nazionale sull'identità di genere che ha organizzato il congresso internazionale nel capoluogo campano. «Il vero obiettivo oggi è cancellare lo stigma», dice Alain Giami, emerito dell'Iserm, l'istituto nazionale di salute e ricerca medica a Parigi, ricordando che in tutta la Francia alle persone transessuali è ancora richiesta la diagnosi di malattia mentale per beneficiare del sistema sanitario e dei trattamenti di buona qualità». Invece, un approccio depatologizzante, come riconosciuto dalla comunità scientifica, andrebbe applicato in tutti i contesti. «Va sottolineato», spiega Valerio, «che le sofferenze psicologiche non derivano dall'essere transessuali in sé, quanto più dall'esserlo in situazioni di rifiuto e discriminazione». Il marchio può spingere i ragazzi ad abbandonare la scuola e a tentare il suicidio. E, in questi casi, il lavoro psicologico con i genitori è fondamentale per creare uno spazio protetto in cui costruire una nuova relazione con il proprio figlio finalizzata a una migliore integrazione nella società. Ma non può bastare: «Occorre una mobilitazione generale», avverte Valerio, ricordando un segnale concreto. L'opportunità per gli studenti e le studentesse transgender di ottenere un'identità alias in Ateneo: un nome in sintonia con il genere percepito, indipendentemente da quello indicato sulla carta di identità.

Altri accorgimenti per diminuire i fattori di stressvengono adottati anche nel ricoverare i pazienti per l'isterectomia: alla Federico II la degenza avviene in urologia, nel reparto maschile, ed è importante per chi purtroppo è abituato a ricevere standard di cure minori rispetto alle persone cis gender, quelle che si riconoscono invece nel genere assegnato alla nascita.
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