Apollinaire, il «flaneur» di Parigi a cent'anni dalla morte in un libro postumo curato da Giampiero Marzi

Apollinaire, il «flaneur» di Parigi a cent'anni dalla morte in un libro postumo curato da Giampiero Marzi
di Donatella Trotta
Giovedì 8 Novembre 2018, 10:48
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Ometti tristi che abbandonano il proprio mestiere di calzolaio per abbracciare la professione di «di poeta ambulante», senz’altro popolare ma ben poco redditizia. Librai talmente innamorati dei propri libri da non poterli vendere che alle rare persone giudicate degne di acquistarli. Editori che pubblicano volumi tra i più belli della propria epoca ma che finiscono per morire nella miseria più nera non tanto, o non solo, per la scarsa attitudine alla contabilità quanto per l’eccessiva generosità verso “amici” collezionisti: beneficati mica con sconti più o meno cospicui, ma con veri e propri doni! E ancora, bizzarri rebus su eccentrici scrittori e critici letterari, burle colossali passate alla storia con i loro spiritosissimi autori, persino un ragazzino di dieci anni che stampa con il ciclostile una curiosa gazzetta per sostenere un museo napoleonico sconosciuto ai più e, poi, un ristoratore poeta e un ciabattino filosofo accomunati, nell’amicizia, da interessi intellettuali e mestieri manuali, accanto a celeberrimi pittori, scultori, disegnatori, giornalisti, scrittori, poeti, drammaturghi, critici e intellettuali di varia umanità nella Parigi della belle époque.

È una vera e propria folla di ritratti di una commedia umana quella che, sullo sfondo - non secondario, parimenti protagonista in gustosi quadri d’ambiente - di cantine, vecchi conventi, camere d’intellettuali, librerie, trattorie, caffè, biblioteche e quartieri sulle due sponde della Senna popola i sapidi racconti giornalistici di Guillaume Apollinaire, il geniale poeta, scrittore e critico d’arte nato a Roma nel 1880, figlio naturale di una nobildonna polacca e di un italiano ex ufficiale borbonico e stroncato a Parigi dalla febbre spagnola, il 9 novembre 1918. Nel centenario della morte, le edizioni Empirìa ne pubblicano, grazie all’attenta cura del francesista Giampiero Marzi, la prima traduzione italiana integrale di una selezione operata da Apollinaire stesso prima di morire, Il Flâneur delle due rive (Empirìa, pp. 78, euro 12, con un icastico ritratto in copertina del poeta a passeggio con il suo cane, disegnato nel 1905 da Picasso): opera uscita purtroppo postuma, cinque mesi dopo la fine dell’autore di ideogrammi lirici e “poème-conversation” (Alcools, 1913 e Calligrammes, 1918), di numerosi e provocatori libri in prosa e cronache d’arte, sostenitore dei Fauves, del cubismo e del futurismo marinettiano, simpatizzante del dadaismo, inventore della parola surrealismo, fondatore di riviste e protagonista delle più vivaci battaglie culturali del suo tempo.

Un uomo, Apollinaire, “maleamato”, dalla vita rocambolesca (si arruolò volontario, fu inviato al fronte e ferito nel 1916 alla testa), segnata da «una sete inesauribile di contatto umano; ma per fortuna, grazie alla sua straordinaria intelligenza e alla sua esuberante simpatia», ricco di amici, come ricorda opportunamente nella sua dotta e lieve prefazione al libro Marzi - già autore per Empirìa di un raffinato e originale saggio su Gli oggetti di Flaubert, 2017 – che alle ore 19 del 9 novembre, ossia proprio il giorno del centenario della scomparsa di Apollinaire, ne parlerà in anteprima alla Libreria Stendhal-Librairie Française di Roma, gestita con vivacità da Marie-Eve Venturino in piazza San Luigi de’ Francesi 23. Nel ricordo di un amico, Ange Toussaint-Luca, Apollinaire così veniva descritto, nel 1920, con ammirato rimpianto: «Che mente affascinante, che delizioso conversatore era! La sua curiosità lo portava alla ricerca degli aneddoti, delle storie eccentriche, dei più buffi e meno noti dettagli. Viveva nel bel mezzo della leggenda, dell’aneddoto, della storiella». Parole quanto mai illuminanti per meglio addentrarsi, gustandoli appieno, nei dieci affabulanti racconti giornalistici e narrativi raccolti nel Flâneur delle due rive: articoli pubblicati in «Les Marges», «Paris-Journal» ma soprattutto tratti da La Vie anecdotique, la rubrica del «Mercure de France» che Apollinaire curò dal primo aprile 1911 fino alla morte.

Fondo scelto dall’autore stesso, tradendo «un indubbio intento autobiografico», chiarisce ancora Marzi, a partire dal titolo stesso scelto dal poeta: il Flâneur delle due rive che altri non è che se stesso, amante del camminare per le vie parigine, trovando pane (anzi, baguettes...) per i denti affilati della sua curiosità insaziabile, molteplici ingredienti ghiotti per la sua fame di libri - anche in quella «deliziosa biblioteca pubblica» formata dai librai sui lungosenna – e scovando spunti infiniti di storie nelle storie (basti solo pensare al racconto della vecchia casa in rue Bourbon-le-Château 1, teatro di un misterioso delitto di due donne il 23 dicembre 1850 da cui prende le mosse il testo, dimora poi abitata dal poeta e filologo borgognone André Mary che offre ad Apollinaire il “la” per attaccare una ulteriore concatenazione di racconti). Ma è soprattutto Parigi, l’anima dei suoi luoghi più pittoreschi o nascosti – tra le due rive della Senna, i boulevard, Montmartre – la vera deuteragonista del libro: dal nostalgico ricordo di Auteil, quartiere dove Apollinaire visse e incipit della raccolta, alla libreria del signor Lehec in rue Saint-André-des-Arts, scenario di bibliofili  e dialoghi sorprendenti; dai canti di Natale di rue de Buci alle terrazze di caffè letterari con ottimi gelati come il «Napo», Café Napolitain frequentatissimo da gente di lettere e di teatro, alla camera dell’eccentrico Ernest La Jeunesse; dall’ex convento di rue de Douai all’incrocio con place Clichy (catalizzatore di uno dei racconti più esilaranti per ricchezza aneddotica) al cammeo «Il Bouillon Michel Pons», fino alle belle storie su rue de Poissy («Un museo napoleonico sconosciuto») e su rue Laffitte («La Cave di Vollard»).

Con una cifra stilistica di complicità dialogica, Apollinaire prende sotto braccio il lettore e lo invita così a passeggiare con lui, incontrando - scrive Marzi - «un esercito di poeti, musicisti, pittori, scultori, scrittori, critici, giornalisti, in cui pulsa il cuore delle avanguardie artistiche». Non solo. Queste fonti non soltanto giornalistiche altrimenti dimenticate, encomiabilmente riportate alla luce da un’attenta operazione editoriale intrisa di partecipe passione oltre che di competenza, ci restituiscono anche un inaspettato approfondimento del poliedrico Guillaume Apollinaire: «Anche se la critica non sempre si è rivelata concorde sul valore da attribuirsi alla sua produzione giornalistica – chiosa Marzi – non vi è dubbio che Il Flâneur delle due rive rappresenti un tassello importante per la comprensione del suo autore, Infatti, scrive Décaudin, sembra che Apollinaire si sia riassunto nel suo ultimo libro, che è al tempo stesso un ritratto intimo e una sorta di testamento».   
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