Ponte Morandi, l'ingegnere che si occupò dei rinforzi dei piloni: «Forse la causa del cedimento è la caduta di una rotolo d'acciaio da un Tir»

Ponte Morandi, l'ingegnere che si occupò dei rinforzi: «Forse la causa del crollo è la caduta di una rotolo d'acciaio da un Tir»
Ponte Morandi, l'ingegnere che si occupò dei rinforzi: «Forse la causa del crollo è la caduta di una rotolo d'acciaio da un Tir»
di Simone Pierini
Venerdì 2 Novembre 2018, 19:08 - Ultimo agg. 21:18
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«A far collassare il viadotto potrebbe essere stata la caduta del rotolo di acciaio trasportato dal camion passato pochi secondi prima». Una testimonianza che apre a una nuova ipotesi sulle cause del crollo di Ponte Morandi del 14 agosto 2018 a Genova. A parlare è Agostino Marioni, ingegnere ex presidente della società Alga che si occupò dei lavori di rinforzo della pila 11 nel '93, sentito come persona informata dei fatti in procura dal pm Massimo Terrile.

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«In un primo momento avevo pensato che la causa del crollo del ponte Morandi fosse la corrosione degli stralli - ha detto Marioni - Poi vedendo alcuni video ho iniziato a ipotizzare che a far collassare il viadotto potrebbe essere stata la caduta del rotolo di acciaio trasportato dal camion passato pochi secondi prima»

«Secondo i calcoli che ho fatto - ha proseguito l'ingegnere - se il tir, che viaggiava a una velocità di circa 60 chilometri orari, avesse perso il rotolo che pesa 3,5 tonnellate avrebbe sprigionato una forza cinetica pari a una cannonata. Verificarlo è semplice: basta controllare se sul coil (la bobina di acciaio, ndr) ci sono tracce di asfalto». L'ingegnere ha poi spiegato come mai Autostrade decise di eseguire i lavori sulla pila 11. «Aveva problemi di corrosione legati a un difetto costruttivo - ha detto -. I cavi all'interno degli stralli di quella pila non vennero sistemati bene per cui il calcestruzzo non li aveva perfettamente avvolti. Per questo si sono corrosi. Anche le pile 9 e 10 presentavano qualche problema ma in misura minore, di poco rilievo».

Il professionista, che per anni ha eseguito lavori su richiesta di Aspi in vari viadotti in Italia e che adesso lavora in Cina ha anche sostenuto che quel che resta del viadotto «non va demolito. Sarebbe come demolire il Duomo di Milano perché è crollata una guglia. La soluzione migliore sarebbe quella di riparare la struttura, magari facendo le parti in acciaio e a vista».

In attesa di conoscere le cause del crollo, nel giorno della commemorazione dei defunti, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, per la prima volta ha visitato il luogo della tragedia. Lo ha fatto dopo aver celebrato la messa per i morti e per tutti coloro che ancora soffrono per il crollo del ponte nella chiesa di Certosa. Era piena. Tra i familiari delle vittime c'era Giuseppe Altadonna, padre di Luigi, il 35enne genovese che ha lasciato moglie e quattro figli. «La ricerca di giustizia è quello che ci manda avanti - ha detto - perché ci sono colpe precise che devono emergere. Queste persone non possono essere morte invano». Se il meteo lo avesse permesso, Bagnasco avrebbe celebrato messa in via Perlasca, sotto i monconi del ponte. «Oggi non volevo non essere qui», ha detto.

Ha deposto un mazzo di fiori. «I monconi sono due braccia senza un corpo, è impressionante ma ritornerà tutto». Prima di deporre i fiori ha visitato i tendoni degli sfollati e ha parlato con la portavoce del comitato Giusy Moretti. «Cardinale, nell'omelia ha parlato della casa del Signore. Noi siamo senza casa. Ci aiuti con le preghiere», ha detto la donna. Bagnasco ha risposto: «Con preghiere e anche con qualcosa di concreto». E ha aggiunto: «Le diatribe non rallentino la rinascita, nessuno a livello nazionale crei difficoltà che possono frenare la ricostruzione», e gli enti locali «vadano avanti determinati e compatti come è stato finora».
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