Maraini laureata honoris causa ritorna all'Orientale, dove studiò il padre Fosco

Maraini laureata honoris causa ritorna all'Orientale, dove studiò il padre Fosco
di Donatella Trotta
Martedì 16 Ottobre 2018, 15:12
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«Donne e uomini fra amore e disamore». Si ispira al titolo del suo ultimo libro la Lectio magistralis che Dacia Maraini - di cui sta per uscire, in novembre, un nuovo “saggio narrativo”, Il corpo felice - terrà mercoledì 17 ottobre (ore 11, Sala Conferenze di Palazzo Du Mesnil, via Chiatamone 61/62) in occasione della Laurea Honoris Causa in Letterature e culture comparate che l’Università l’Orientale le conferirà «non solo come celebre autrice di tante opere ma anche per il suo impegno civile, che contribuisce da sempre alla reciproca comprensione tra le culture del mondo», spiega la Rettrice dell’ateneo Elda Morlicchio, che aprirà la solenne cerimonia nella sede del Rettorato con Augusto Guarino, direttore del Dipartimento di Studi letterari, linguistici e comparati e con Donatella Izzo, docente di Letteratura angloamericana e Coordinatrice del Corso di laurea magistrale in Letterature e culture comparate, alla quale è affidata la Laudatio in onore della scrittrice: personalità poliedrica, esploratrice dell’esistenza, viaggiatrice e intellettuale “militante”, che con i suoi costanti sconfinamenti di generi - dal romanzo alla drammaturgia, dalla poesia alle traduzioni, dalle sceneggiature alla critica letteraria, dalla saggistica alla memorialistica fino agli interventi sulla stampa – si configura come una preziosa testimone del suo tempo. In piena sintonia – sottolinea Izzo - «con i valori dialogici e interculturali che ispirano il nostro Ateneo: perché Dacia Maraini è una figura che, con la sua “vita attiva” e il suo profilo biografico e artistico, ci ricorda di continuo quanto sia importante combattere per ciò in cui si crede, in nome di un ideale di umanità oggi più che mai da difendere».

Un’umanità a rischio, Maraini, che sul filo delle grandi questioni sociali lei ha sempre indagato con una particolare attenzione alla condizione femminile: non ritiene che la misoginia (implicita o dichiarata) sia diventata il tema traversale che accomuna, oggi come in passato, le donne d’Occidente e Oriente, Nord e Sud del mondo?
«Certo. Nella lotta non dichiarata tra sessi ogni momento di emancipazione, autonomia e libertà femminile ha creato contromovimenti e reazioni, paure e nuove relazioni che nella fase attuale registrano una preoccupante svolta a destra e una involuzione della cultura, purtroppo, sul piano mondiale. I fatti parlano: l’aumento inedito dei femminicidi, che prima d’ora erano rubricati dagli inquirenti come delitti generici, ora hanno una precisa matrice culturale di genere. Alla quale si affianca la violenza di nuovi razzismi, intolleranze, discriminazioni, odio. Ne parlerò, con un taglio artistico che è quello che più mi interessa, nel mio discorso all’Orientale dove, evitando di far teoria che non è il mio mestiere, cercherò di raccontare attraverso storie esemplari di donne che hanno subìto discriminazioni – da Veronica Franco a Juana Inès de la Cruz, da Isabella Morra a Camille Claudel – una condizione diffusa e ricorrente e di come sia necessario resistere, consapevolmente, con un realismo che dia forza ai sogni, ma con un pensiero trasformante».

Azar Nafisi, scrittrice iraniana della diaspora di recente insignita del premio letterario Matilde Serao promosso dal «Mattino», ha parlato di «potere eversivo dell’immaginazione»: è d’accordo? E quanto può aiutare a invertire la tendenza?
«Condivido: i totalitarismi di ogni segno temono l’immaginazione, valore potente che può sovvertire l’ordine costituito. Come la cultura e la conoscenza, basate sul porsi domande. E come la coscienza in Bergson, che ci mette anche in rapporto con la storia».

Storia minacciata nelle scuole italiane, stando alle ultime polemiche in atto…
«Siamo alla follia completa: limitare la memoria storica è come bloccare la coscienza. Ecco perché l’educazione è il più importante strumento di tutela dei diritti: ma bisogna partire sin da bambini molto piccoli, insegnando loro, ad esempio, che gli altri non si possono possedere come un oggetto, perché il possesso è una forma di schiavitù. E che il corpo è felice se può esprimersi nella sua complessità interiore, non soltanto nell’essere visto e apprezzato sul piano esteriore».

Non a caso nella sua produzione ci sono anche molti bei libri per bambini e ragazzi…
«Ma anche la scrittura definita per l’infanzia è stata penalizzata: basti pensare a grandi libri come Pinocchio, Alice in Wonderland, L’isola del tesoro, classici per tutti, di fatto relegati da una etichetta in un ambito che non rende giustizia alla loro universalità».

«Il gioco dell’universo», Maraini, è il titolo che nel 2007 scrisse con suo padre Fosco: questa laurea dell’Orientale la fa tornare proprio nell’università dove lui studiò negli anni ’30, diventando quell’insigne etnologo e yamatologo che abbiamo conosciuto: un valore aggiunto al prestigioso riconoscimento?
«Un’emozione che mi commuove, nel segno forte di una memoria familiare che mi è cara e a cui questa laurea è legata: mio padre studiò qui a Napoli con Giuseppe Tucci, e prima ancora mia nonna (sua madre) aveva a lungo viaggiato da sola in Oriente. Il viaggio di conoscenza è tradizione di famiglia. Per questo la scelta dell’Orientale mi è così cara. Ma in un tempo di autarchie perturbanti, la laurea in “Letterature e culture comparate” riveste anche un valore di esemplarità: tra Stati che tornano a chiudere le  frontiere, a mettere dazi e pedaggi che ricordano scelte irresponsabili  del passato, la comparazione che propone l’Orientale diventa sinonimo di rispetto e comprensione. Una sorta di antidoto per promuovere  la circolazione delle idee e delle persone, sapendo che storicamente i movimenti dei popoli non possono essere fermati, ma solo governati».

Tuttavia la questione migranti continua ad accendere gli animi: si pensi al caso Riace.
«Chi cerca di arrivare in Europa non lo fa per capriccio o cattiveria, ma per fuggire da una fame spesso conseguenza di antiche rapine compiute dai colonialismi europei, per fuggire da guerre che si alimentano con armi comprate dalle nostre industrie, per fuggire dalle dittature di fantocci spesso voluti e sostenuti dall’Occidente. La comparazione delle culture appartiene a un principio di civiltà, una scelta razionale e umanitaria che deriva dalla migliore tradizione europea».
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