Mastella assolto, è la 15esima volta:
«Ero diventato come Provenzano»

Mastella assolto, è la 15esima volta: «Ero diventato come Provenzano»
di Gigi Di Fiore
Venerdì 14 Settembre 2018, 12:00
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L'ultima di una lunga serie di assoluzioni è di due giorni fa. Non c'è voglia di rivalsa in Clemente Mastella, già ministro e oggi sindaco di Benevento. Solo tanta voglia di analizzare la sua esperienza.

Sindaco Mastella, quante sono state le sue assoluzioni?
«Una quindicina. I miei processi sono finiti tutti bene. Pensi che, ad un certo punto, ero arrivato a collezionare un totale di richieste di anni di pena per circa cento anni. Una somma di condanne superiore a quelle del processo di Mafia capitale».

L'hanno accusata di molti reati?
«Sì, nelle mie ipotesi accusatorie era condensato tutto lo scibile giuridico in materia di reati contro la pubblica amministrazione. Peculato, malversazione, truffa, abuso d'ufficio, associazione a delinquere».

Che lettura storica si sente di dare, a dieci anni dall'avvio di tutte le inchieste a suo carico finite con assoluzioni?
«Sicuramente si era dipinto il mio partito, l'Udeur, come un'associazione a delinquere. Tutto è sfumato e capovolto, ora. E allora si è verificato qualcosa che ha rischiato di inquinare l'attività giudiziaria. Se penso alla conferenza stampa dell'allora procuratore capo di Santa Maria Capua Vetere, o all'arresto di mia moglie disposto dal gip, con atti che la dipingevano come persona socialmente pericolosa, mi chiedo se non ci sia stato un accanimento particolare nei confronti di un'attività politica in crescita e determinante negli scenari nazionali e regionali di allora».
 
Ci sono voluti dieci anni per arrivare alle sentenze?
«Sì, dieci lunghi anni di avvelenamento. Io solo, in una vicenda, sono stato processato a Napoli, altri coindagati sono stati subito prosciolti a Benevento. Non ho mai alzato la voce, mi sono difeso nei processi. Ma ora mi chiedo se non ci siano state troppe distorsioni, quando persino la Procura di Milano, negli anni di tangentopoli, rifiutò di dare qualificazione giuridica di associazione a delinquere alle attività dei partiti. Ipotesi, invece, utilizzata nei confronti dell'Udeur».

Cosa è accaduto nel suo partito, dopo l'avvio delle inchieste?
«C'è stata la fuga, per timore, in un isolamento crescente. Come indiani assediati. E mi sono chiesto come mai, fino a quando ero arrivato a presiedere il ministero della Giustizia, non avevo mai avuto problemi giudiziari rilevanti. Poi, come d'incanto, sono diventato una specie di Provenzano dei reati contro la pubblica amministrazione».

Associa la coincidenza con i suoi tentativi di riforma della giustizia, in particolare la revisione del sistema delle intercettazioni?
«Non credo ai complotti, ma la contestualizzazione storica qualche studioso dovrà poi farla. Di certo, dopo l'avvio dell'inchiesta di Santa Maria Capua Vetere, mi dimisi da ministro, poi cadde il governo Prodi. E, subito dopo, cadde anche la giunta regionale di Bassolino. Ragiono sulla successione degli avvenimenti, ne ho ragionato spesso, in questi anni, anche con il mio avvocato Alfonso Furgiuele, professionista rigoroso e preparato. A volte ho pensato ad un accanimento nei miei confronti».

In quale occasione?
«Ci sono stati diversi episodi che mi hanno fatto stare male. Mia moglie, che ebbe il divieto di dimora in Campania, dovette lottare per ottenere il permesso a farsi operare dalla cognata. Una volta dovevamo partire per Miami, avevo il visto, ma ci fu detto che gli americani non ci avrebbero concesso di sbarcare dall'aereo per le pendenze a mio carico. Ho avuto un infarto, può capitare a tutti, ma a me è capitato in questo periodo. È storia personale, come la vicenda, raccontata da un inviato, degli atti sulle mie indagini consegnati ai giornalisti seduti al bar Gambrinus da un esponente della Prefettura. Mi chiedo come mai la Prefettura e non la Procura. C'è qualcosa che non torna anche in questo episodio».

Ha ricevuto attestati di solidarietà dopo l'ultima assoluzione?
«Sì, tante telefonate, ma i complimenti non bastano. È la politica a doversi fare carico dei limiti e delle lungaggini dei processi, con riforme adeguate. Ma la politica è bloccata da eccessiva prudenza, indolenza, paura. Eppure, anche tantissimi magistrati rigorosi e seri sollecitano riforme. Io non avevo bisogno di riabilitazione morale, perché ero una persona perbene prima e lo sono ora. Non provo rancori verso i miei inquirenti. Le cose, però, nel settore giudiziario devono andare meglio. E per andare meglio devono andare diversamente».
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