Il ministro Bongiorno: «Assenteisti, useremo il pugno duro contro coloro che non controllano». Si volta pagina dopo il caso Reggia

Il ministro Bongiorno: «Assenteisti, useremo il pugno duro contro coloro che non controllano». Si volta pagina dopo il caso Reggia
di Paolo Mainiero
Lunedì 6 Agosto 2018, 08:59 - Ultimo agg. 16:55
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Il governo non farà sconti, sarà inflessibile nella battaglia contro l'assenteismo, assicura Giulia Bongiorno, ministro della Pubblica amministrazione.

Ministro, come commenta la vicenda di Caserta?
«Intendo approfondire ogni profilo di quanto accaduto presso la Reggia di Caserta e chiederò gli atti al ministero competente. Su questa vicenda andrò fino in fondo. In generale, è indispensabile che nella lotta all'assenteismo si vada avanti senza se e senza ma colpendo non solo i dipendenti che si assentano ma anche chi avrebbe dovuto controllare e non lo ha fatto. L'assenteismo è un doppio tradimento: si tradisce la collettività e si tradiscono i dipendenti che con sacrificio, attenzione, correttezza, diligenza fanno il proprio dovere».

Vuol dire che da parte chi dovrebbe controllare, cioè i dirigenti, c'è quantomeno una scarsa attenzione?
«Bisogna distinguere tra l'assenteismo occasionale e quello cronico. Se l'assenteismo è cronico e dura mesi e anche anni, non è possibile che i responsabili non abbiano notato nulla. Se in alcuni uffici pubblici i dipendenti lavorano senza motivazione è anche perché talvolta devono lavorare per chi si assenta ingiustificatamente. Chi fa il proprio dovere spesso è costretto a farlo con un senso di frustrazione».

I dipendenti dovrebbero segnalare i casi di assenteismo dei loro colleghi?
«Ricevo, ogni giorno, decine di lettere di dipendenti che mi segnalano casi di assenteismo. Molti di loro si definiscono servitori dello Stato e si lamentano delle condizioni in cui lavorano. Ma si tratta di segnalazioni anonime e spesso generiche per le quali è difficile ricostruire le singole vicende. È per questo che vanno messe in campo misure per responsabilizzare innanzitutto i dirigenti che in certi casi non possono non sapere ciò che accade nei loro uffici».

Tra le misure proposte c'è quella dei controlli biometrici. Andrà avanti?
«L'assenteismo si colpisce sicuramente con le sanzioni. Ma credo anche nella necessità di creare deterrenti per prevenire il fenomeno. I controlli biometrici attraverso l'impronta digitale o l'iride non sono invasivi, sono compatibili con la legislazione sulla privacy e rappresentano il futuro, come già avviene in tantissimi istituti privati. E come già avviene alla Camera. Occorre tutelare chi lavora e voglio farlo nell'interesse dalla stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici, che sono persone perbene, oneste, corrette».

 

La reazione dei sindacati alla proposta di adottare i controlli biometrici non è stata positiva. Teme di dover affrontare una dura battaglia per convincerli?
«Ho già incontrato tutte le sigle sindacali e sono stata chiara e diretta: essendo una penalista conosco il disvalore del trucco di chi timbra anche per altri colleghi che restano a casa o addirittura fanno altri lavori, è una vera truffa. Io voglio prevenire un reato e voglio proteggere chi ogni giorno va regolarmente in ufficio e deve difendersi dalla generalizzata accusa di essere un fannullone».

I sindacati cosa le hanno risposto?
«Tra i presenti all'incontro non ho registrato alcuna obiezione e spero che non ce ne siano. Se il sindacato vuole davvero tutelare i lavoratori deve innanzitutto tutelare i lavoratori perbene e non i truffatori. Questo governo ha fatto della battaglia per la legalità uno dei suoi tratti distintivi e non potrà consentire e tollerare l'assenteismo cronico».

Da Procida a Caserta, da Udine al Termini Imerese, i casi di assenteismo riguardano tutta l'Italia. Eppure i licenziamenti sono ancora pochi.
«Ciò che emerge è solo la punta dell'iceberg. Non sappiamo quanto il fenomeno sia ampio, vi sono tanti casi nascosti che non affiorano, che non vengono segnalati. Il fatto che i licenziamenti siano pochi significa che il fenomeno è occulto e quindi ancora più grave».

Ci sono limiti nella legge Madia?
«La legge Madia è sicuramente un passo avanti ma presenta evidenti limiti. Sui provvedimenti disciplinari, per esempio, servono tempi più stringenti. Qualche correzione sarà certamente fatta e gli interventi maggiori andranno realizzati sulla prevenzione e sulla responsabilizzazione dei dirigenti. L'obiettivo è duplice: intervenire prima che il reato sia stato consumato e creare un sistema in cui il servitore dello Stato sia valorizzato. In questo senso, bisogna introdurre anche premi e progressioni di carriera per chi fa funzionare bene la struttura».

Il meccanismo delle premialità nella Pubblica amministrazione è molto delicato. Chi premia chi? Chi valuta?
«Il fatto che tanti ministri, prima di me, si siano confrontati su questo tema fa capire quanto sia complicato arrivare a una soluzione ottimale. Bisogna avere il coraggio di individuare una volta per tutte soggetti terzi, esterni alla Pubblica amministrazione, che facciano valutazioni del tutto indipendenti. Ho letto i report di alcune valutazioni: se tutti hanno ottenuto cento c'è qualcosa che non va. Il numero delle riunioni fatte può essere un obiettivo? A mio giudizio, no. Il numero di riunioni non può essere un obiettivo, è un mezzo per raggiungere un risultato. La vera sfida è quindi creare organismi veramente indipendenti che siano presenti sin dal momento della fissazione degli obiettivi. Basta con gli obiettivi fai-da-te».

Il ministro Di Maio, a proposito della Rai, ha detto che sarà data la caccia a parassiti e raccomandati. Ma non si corre il rischio di far passare la Pubblica amministrazione come un rifugio di fannulloni rischiando così di incrinare ancora di più il rapporto tra dipendenti pubblici e cittadino?
«La Pubblica amministrazione non ha una bellissima fama ma far passare l'idea che tutti siano imboscati e fannulloni è offensivo per la stragrande maggioranza dei dipendenti che sono persone perbene. Le generalizzazioni sono sempre sbagliate. Tuttavia, il problema esiste e ci vorrebbe innanzitutto un cambiamento culturale profondo, cercando di attrarre i migliori attraverso selezioni sempre serie e trasparenti e suscitando il senso di appartenenza alla Pubblica amministrazione. La Pubblica amministrazione ha realtà molto eterogenee, ci sono alcune eccellenze che hanno modelli organizzativi che dobbiamo trasferire a quelle realtà che sono in affanno. La concretezza sarà la mia linea guida».

La digitalizzazione della Pubblica amministrazione procede a rilento. Perchè?
«La trasformazione digitale, nonostante gli annunci pieni di enfasi del passato governo, è al palo e non ha ancora prodotto gli effetti promessi. È anche vero però che la digitalizzazione richiede tempo. Non faccio promesse, non indico tempi brevi ma le assicuro che la trasformazione digitale è una delle grandi sfide di questo governo».
 

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