«Terrae motus non va spostata, è di Caserta»: l'appello del vescovo emerito Nogaro

«Terrae motus non va spostata, è di Caserta»: l'appello del vescovo emerito Nogaro
di Enzo Battarra
Lunedì 6 Agosto 2018, 09:43 - Ultimo agg. 16:45
5 Minuti di Lettura

Il suo carisma è innegabile. È stato per venti anni il vescovo della città di Caserta, quello che tuonava al Te Deum per spronare gli amministratori e per far prendere coscienza al popolo. Ma è anche e soprattutto una persona di grande cultura, di un'umanità straordinaria, di una dolcezza disarmante. L'incontro con Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta, avviene nell'abitazione che si è ritagliato in piazza Ruggiero, a ridosso della chiesa del Redentore, nel cuore della città. Qui ha deciso di rimanere dopo aver concluso nel 2009 il suo impegno pastorale.
Ebbene, lui è il «tutore» di Terrae Motus per volontà del grande gallerista napoletano Lucio Amelio, che affidò al presule, come autorità morale, spirituale e culturale della città, il compito di difendere la collocazione nella Reggia di Caserta della eccezionale raccolta di opere. D'altronde il legato testamentario parla chiaro e vincola al Palazzo vanvitelliano Terrae Motus, nata sull'onda emotiva del sisma del 1980 e arricchitasi negli anni delle opere di una settantina di artisti internazionali tra i più prestigiosi di quel decennio. Nogaro in un lettera aperta datata 8 agosto 2009, proprio nel momento in cui concludeva il suo ufficio di vescovo della città, ricordava quel legato. «Più che il vincolo notarile va perseguito il vincolo culturale e di riconoscenza che la città e la sua civitas devono sapere e voler intrecciare con la donazione». Queste le sue parole all'epoca.



«Prima di allestire Terrae Motus nel 1994 a Palazzo Reale racconta oggi il presule Lucio Amelio venne due volte da me in compagnia del soprintendente Gian Marco Jacobitti, e una volta anche da solo. Mi chiesero di firmare un documento che dovrebbe essere ancora custodito nella Reggia di Caserta, in cui garantivo il mio impegno vita natural durante, in modo pubblico, ad assicurare la permanenza di Terrae Motus a Caserta. E ricordo ancora che, proprio quando venne da solo, Amelio mi supplicò di aiutarlo nel tenere la collezione nella Reggia, perché, mi disse, Napoli gli aveva già rubato tutto senza nessuna gratitudine. E in un'altra occasione aggiunse che il suo comportamento non era dettato né da rancori particolari né da vendetta, ma dalla delusione verso la città partenopea».

Lucio Amelio si portava dentro, quindi, un grande dolore, quello di non essere mai stato opportunamente compreso dalla sua Napoli, per la quale si era speso e aveva donato grandi momenti culturali, trasformando la galleria in piazza dei Martiri nel baricentro dell'arte internazionale.

Ma in questi ultimi anni ormai si stanno rinnovando i tentativi da parte dei familiari di Amelio e di operatori culturali napoletani di sottrarre Terrae Motus alla Reggia di Caserta per trasferirla in un qualche edificio partenopeo. E questo viene motivato criticando l'allestimento delle opere e ritenendo insufficiente la valorizzazione della raccolta
E su questo il direttore della Reggia Mauro Felicori è già intervenuto. Ma è lo stesso Raffaele Nogaro a sottolineare la centralità del Palazzo vanvitelliano e il ruolo che dovrebbe avere Caserta. «Sotto la Reggia c'è un'altra Reggia», sostiene il vescovo emerito. «Nessun casertano sa niente, c'è un tesoro come le tombe sannitiche. Da San Leucio alla Reggia, ai Ponti della Valle, ci sono grandi cose a Caserta. E vanno ricordate anche le abbazie di Sant'Angelo in Formis e di San Pietro ad Montes. Tante le cose che si potrebbero esaltare qui. Noi abbiamo tanti artisti e tanti scrittori, ma Caserta è un po' instupidita, non so per qual motivo».

È perentorio Raffaele Nogaro, lui che è amico di tanti intellettuali della città, a partire dal filosofo Lucio Saviani, dallo scrittore Francesco Piccolo, dall'attore Toni Servillo, con i quali spesso si incontra. E ricorda: «Quando svolgevo il mio ruolo di vescovo, nell'auditorium Sant'Augusto dell'episcopio, trecento posti a sedere, ogni pomeriggio c'era una riunione con laici, laicissimi e cattolici, perché eravamo sempre aperti a tutti. Ora sono circa otto anni che qui dove abito teniamo i giovedì culturali con il nome La Canonica. Dico questo perché io sono un uomo di fede, ho sentito e sento la vocazione, sono un credente appassionato, però sento che la fede si deve testimoniare, non si può dimostrare. E lo si deve fare socialmente con le opere di misericordia e culturalmente, cioè abbracciando il laico, di qualunque professione sia. Quando tu ami colui che è contrario a te, anche ideologicamente, vuol dire che sei veramente un credente».

Nogaro parla con una grande luce negli occhi, lo sguardo è di una vivacità assoluta. Bello il ricordo dell'episcopio come casa aperta. Ma aggiunge altro: «La fede non è fede se non è fiducia totale nell'uomo, prima di tutto. Non puoi arrivare a Dio se non credi all'uomo com'è, con la sua sapienza e la sua miseria».

Questa la grande spiritualità che Raffaele Nogaro trasmette, questo il suo «take home message». Ma aggiunge un altro elemento che dimostra quanto sia legato alla sua Caserta, lui, un timido friulano che si definisce uomo del Sud: «L'amico Battista Marello, artista e parroco di San Leucio, ha preparato la cripta sotto la Cattedrale anche per la sepoltura dei vescovi, ma io non voglio andare là quando muoio, voglio andare in mezzo alla mia gente interrato nel cimitero di Caserta».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA