Assegno di divorzio e tenore di vita,
deciderà la lite fra Omar e Lucrezia

Assegno di divorzio e tenore di vita, deciderà la lite fra Omar e Lucrezia
di Gigi Di Fiore
Domenica 15 Aprile 2018, 12:40 - Ultimo agg. 16 Aprile, 10:00
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Lei si chiama Lucrezia e ha un’azienda di imballaggi per gli alimenti con il marito Omar. Si sono sposati nel 1978, sono partiti dal nulla e la loro attività è cresciuta nel tempo. L’amore è finito, il matrimonio anche. Lucrezia e Omar si separano e poi divorziano dopo quasi 30 anni. Si dividono a metà il patrimonio familiare, ma Lucrezia chiede anche un assegno dopo il divorzio. Gestisce un centro di formazione al lavoro, ma sollecita l’assegno per il contributo dato alla famiglia e all’azienda creata con il marito in tanti anni di matrimonio. Il tribunale di Reggio Emilia le riconosce un assegno di 4mila euro, ma la corte d’appello di Bologna glielo toglie. È la storia-spia del contenzioso che divide da un anno magistrati, avvocati, sociologi. La storia-spia al centro dell’attesa storica sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione. Una sentenza che influenzerà migliaia di contenziosi nazionali, che riguardano rapporti interpersonali, valori spirituali come amore, fedeltà, riconoscenza. Si ripercuote sui figli ed entra a gamba tesa nella quotidianità, costringendo a fare i conti con redditi da ridimensionare e vite da rivedere. ll divorzio e l’assegno che uno dei due coniugi subito dopo pretende all’altro. Nella giungla delle sentenze di orientamento contrapposto, la vicenda di Lucrezia e Omar farà da precedente. 

Su sollecitazione di Giovanni Canzio, primo presidente fino a quattro mesi fa, il ricorso della coppia emiliana sarà deciso tra un mese dalle Sezioni Unite della Cassazione. Qualche giorno fa, la richiesta di annullamento della sentenza di Bologna con rinvio del sostituto Pg della Cassazione, Marcello Matera. Nella sua relazione, il magistrato ha fissato i temi in gioco: la discrezionalità che regola la delicata materia, gli ondeggiamenti, influenzati dai cambiamenti del nostro costume sociale, delle tante sentenze.

«A mio parere, le decisioni sull'assegno divorzile non possono seguire un criterio unico valido per tutti i casi - spiega proprio Marcello Matera - La valutazione va fatta sulle singole vicende, tenendo conto di tutti i parametri indicati dalla legge-guida. Credo che, come ho ripetuto in udienza martedì scorso, va fatta una valutazione congiunta dei presupposti in astratto con quelli concreti. Significa seguire criteri di equità».

La sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione è molto attesa. Sarà come seguire il filo di 30 anni di cambiamenti nei rapporti matrimoniali del nostro Paese. Ne sono passati 48 da quando anche nell'Italia repubblicana fu dato il via libera al divorzio. Diciassette anni dopo, la legge 74 ha mutato i criteri di valutazione dell'assegno per separazioni e divorzi. È ancora la legge che fa da guida, al centro di centinaia e centinaia di sentenze. Fissa, di fatto, il criterio del «tenore di vita» che il coniuge più debole deve mantenere dopo il divorzio. Un tenore che gli deve assicurare, con l'assegno mensile, il coniuge che guadagna di più. Il «tenore di vita» è la sintesi di quanto si legge nell'articolo 10 della legge: l'assegno va assicurato al coniuge che «non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive».

Un criterio che, nel 1990, riconoscono in fila ben quattro sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione. Elena è un ingegnere di Agrigento, dopo il divorzio le viene riconosciuto un assegno di 1200 euro da aggiungere ai 1800 per il mantenimento dei figli. In appello, però, i 1200 euro le sono stati tolti. Motivo? È un ingegnere, anche se le sue attività sono diminuite negli anni, può comunque procurarsi un alto reddito. Effetto del terremoto della sentenza della prima sezione civile della Cassazione dello scorso anno. È la famosa 11504 che doveva decidere sull'assegno del divorzio versato dall'ex ministro Vittorio Grilli alla moglie imprenditrice Lisa Lowenstein. Non conta il criterio del «tenore di vita», i giudici presieduti da Salvatore Di Palma stabiliscono che quello deve prevalere la capacità di «procurarsi mezzi adeguati». Chi ha uno stipendio non può pretendere l'assegno. Scrivono i giudici della prima sezione civile della Cassazione: «L'assegno divorzile è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l'assunzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto».

 

Un progetto di vita non va bene per vari motivi, si fanno scelte che vanno male, chi deve pagarne le conseguenze? Ha spiegato Eliana Onofrio, avvocato matrimonialista di Milano: «Seguendo in maniera sistematica il nuovo orientamento, si rischia di punire tutti quegli ex coniugi (In Italia in prevalenza le mogli) che si sono adoperati con grandi sacrifici e spesso per molti anni di matrimonio, tra lavoro, casa e prole per incrementare le entrate familiari».
Anche la Corte costituzionale è stata investita di questa materia. Tre anni fa, dal tribunale di Firenze. La decisione ha dichiarato infondata la questione di incostituzionalità delle norme sul divorzio. Certo, 30 anni fa gli assegni di divorzio venivano riconosciuti per il 60 per cento, fino all'anno scorso la percentuale era scesa al 19 per cento. E sembra un paradosso che, negli ultimi anni, aumentino i matrimoni più che le separazioni. Ce lo dice l'Istat: tra il 2014 e il 2015, duemila matrimoni in più. Ma i divorzi hanno avuto un boom, dopo la riforma che ha abbassato i tempi e reso più rapide le procedure. La crisi del settimo anno di matrimonio fa parte dei luoghi comuni del passato. Oggi ci si separa dopo almeno sedici anni e l'età media si è alzata. Gli uomini che divorziano hanno tra i 45 e i 49 anni, le donne tra i 42 e i 44. La media dei divorzi è superiore ai 50mila. Nel 2014, sono stati 52335, le separazioni 89303.
Cosa decideranno le Sezioni Unite il mese prossimo sugli assegni divorzili? «Spero che l'orientamento segua le mie richieste» dice il sostituto Pg Marcello Matera. In attesa, dalla famosa sentenza del 2017 i tribunali si sono divisi nell'interpretarla. Dice Giovanni Mammone, attuale primo presidente della Cassazione: «Sui rapporti familiari c'è un vivace dibattito suscitato dalle sentenze della Cassazione che, mutando il precedente orientamento, hanno ancorato il riconoscimento del diritto all'assegno di divorzio alla mancanza di autosufficienza economica del coniuge richiedente e non più al mantenimento del tenore di vita goduto durante il matrimonio».
Di certo, sull'entità degli assegni è difficile fare una media. Si va dai 200 euro, riconosciuti ad una donna pensionata e versati dal marito pensionato, ai milioni di euro tra coppie famose. La media, nei divorzi tra professionisti di reddito medio, è tra i mille e i duemila euro. Spiega il sostituto Pg della Cassazione, Marcello Matera: «Si tratta di procedimenti di numero non elevato, per ricorrenti di reddito medio-alto».
Chi ha tempo e denaro per arrivare fino in Cassazione e scontrarsi con l'ex coniuge sul diritto all'assegno di divorzio? A Napoli, pendono circa duemila cause, a Roma appena tredici in più: 2013. A Pesaro, una ex moglie si è vista confermare in appello l'assegno divorzile ottenuto dal tribunale. Erano duemila euro, lei non lavora più in banca per sua scelta. «Non si trova nelle condizioni di effettiva indipendenza economica e ha, quindi, diritto all'assegno divorzile» scrivono i giudici. Tengono conto anche dell'età della donna, che ha superato i 50 anni , e delle sue difficoltà a trovare un lavoro.
La materia è tutta da definire, anche perché le sentenze innovative, assai simili, del 2017 sono state due: dopo quella di maggio se ne è aggiunta un'altra il 22 giugno, la numero 15481. Ha sostenuto, al convegno sulla materia organizzato dal Csm, Tania Hmeljak, consigliere d'appello a Palermo: «La rigorosa applicazione dei criteri della condizione del reddito dei coniugi, del loro contributo alla formazione del patrimonio comune, della durata del matrimonio e delle ragioni della loro decisione dovrebbero agire da fattori di moderazione sulla somma astratta in base all'auto responsabilità».
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