L'uovo di Virgilio | Alle radici del canto popolare, i giorni di Tammurriata nera

L'uovo di Virgilio | Alle radici del canto popolare, i giorni di Tammurriata nera
di Vittorio Del Tufo
Domenica 15 Aprile 2018, 14:45 - Ultimo agg. 16 Aprile, 17:29
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«Passaje lu tiempo ca Berta filava
E ca l'auciello arava
e cchiù nun sento Ammore ca me chiamma,
Sculata è Patria mò nun c'è cchiù mamma
(Si te credisse, Nuova Compagnia di Canto Popolare).

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Nei primi anni 70 il canto e i suoni venuti dal passato invasero la città. Laude, villanelle, strambotti, madrigali, tammurriate; il grande repertorio colto coniugato con la tradizione popolare, in un impasto di voci che Napoli non ha mai più ritrovato: le voci della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Peppe Barra ci accoglie nella splendida casa-museo adagiata sulla collina di San Potito, tra mille progetti in cantiere si affaccia la memoria di un passato leggendario.

«Ricordo il primo provino, con De Simone, nella casa di via Cavalleggeri. Io non ero convinto delle mie doti. Guagliò, tu devi cantare, mi disse. Esplorò i miei timbri vocali, che spaziavano da basso baritono a tenore, fino a contraltista, e mi diede da studiare Lo Guarracino. Ma al primissimo concerto, nella scuola americana alla Nato, ci esibimmo con un repertorio elisabettiano, con la musica del Cinquecento e del Seicento inglese, cantavamo in inglese arcaico. Poi, finalmente, cambiammo repertorio, eravamo la Nuova Compagnia di Canto Popolare, no? E allora cominciò il lavoro di ricerca sul repertorio colto e popolare della tradizione campana. Roberto ci faceva studiare e provare dieci ore al giorno, con il metronomo. Fu un lungo e meraviglioso viaggio...».

Quando non provavano a casa del Maestro, a Cavalleggeri, o in quella di Peppe Barra e della madre Concetta, i ragazzi utilizzavano alcuni locali del Circolo della Marina, in piazza Vittoria. Gli altri luoghi della memoria: il mitico teatro Esse di via Martucci, il Teatro Instabile di Michele Del Grosso, anch'esso in via Martucci, e il Play Studio di Arturo Morfino: tutti avamposti di un teatro che prova a uscire dai recinti, a sprovincializzarsi. E poi c'è lo studio di Eduardo Caliendo, in via Aniello Falcone, un'autentica fucina di talenti dove Eugenio Bennato, suo fratello Edoardo e Patrizio Trampetti, tutti giovani allievi del grande maestro di chitarra, conoscono Roberto Murolo, che con Caliendo aveva realizzato la famosa Antologia della canzone napoletana.

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«Cominciammo un percorso di ricerca etnomusicologica», racconta Roberto De Simone, «e i primi dischi giunsero a conclusione di quel percorso. Bisognerebbe interrogare la musica, i dischi parlano da sé. E indicano il percorso artistico che ha compiuto il gruppo».

Il primo disco della Nuova Compagnia di Canto Popolare vede la luce nel 1971, ed è intitolato semplicemente con il nome della formazione. Un anno più tardi esce l'album doppio contenente tracce storiche (Jesce sole, Vurria addeventare, Lli figliole, La morte di mariteto) e brani travolgenti come Il ballo di Sfessania, la Ndrezzata e La rumba degli scugnizzi. Il gruppo porta alla ribalta e impone all'attenzione di tutti autentiche gemme del repertorio delle villanelle cinquecentesche, come la struggente Madonna tu mi fai lo scorrucciato, che risale al 1534: il lamento di un uomo che si sente trascurato dalla donna amata e sospetta di essere stato già rimpiazzato.

Madonna tu mi fai lo scorrucciato
che t'aggio fatto che ngrifi la cera...
Anema mia, chesta n'è via
de contentar st'affannato core.

È un lungo ponte con il passato quello che la Nuova Compagnia costruisce attraverso la documentazione e il lavoro di ricerca. Ma soprattutto un lungo viaggio nelle tradizioni più autentiche di un popolo, di un territorio. Edoardo Bennato, nel 1973, replica a distanza con un testo strepitoso, quello della canzone Rinnegato. Pieno di riferimenti al fratello Eugenio, all'amico Patrizio Trampetti, e allo stesso Roberto De Simone.
Eugenio dice che io sono rinnegato/perché ho rotto tutti i ponti col passato/Guardare avanti sì ma ad una condizione/che tieni sempre conto della tradizione.

Avete letto mai Roberto De Simone?/Ha fatto un lungo viaggio nella tradizione/Lui dice che in Italia col passar degli anni/la musica peggiora e non si va più avanti.
Rinnegato, sei un rinnegato, non ti conosciamo più/Rinnegato, sei un rinnegato, non ti conosciamo più.
Il percorso è segnato. Nel 1974 il grande impatto della Nuova Compagnia sulla scena italiana con Li sarracini adorano lu sole. È un canto che viene dal passato, quel passato andato sedimentandosi dentro di noi. Quasi tutti i brani - spiega De Simone - nascono da «musiche desunte tavolta da documenti orali registrati sul campo; o, più frequentemente, dalla tradizione storicamente scritta, e coniugati con la oralità di tipo etnico incarnata dai rappresentanti della Nuova Compagnia».

Tammurriata nera è l'ultima traccia del primo lato. L'arrangiamento etnico del celebre brano composto trent'anni prima da E.A. Mario ed Edoardo Nicolardi è da brivido. È De Simone a scegliere di aggiungere al testo di Nicolardi, inserendole alla fine del pezzo, altre strofe di conio popolare. Sono le strofe che un cantastorie girovago, il giuglianese Eugenio Pragliola, noto come Eugenio cu e llente, nel dopoguerra cantava sugli autobus delle Tranvie Provinciali.

Aieressera a piazza Dante
o stomaco mio era vacante
si nun era p''o contrabbando
i' mo' già stavo o campusanto.

Il miracolo è compiuto. La Napoli della Nuova Compagnia di Canto Popolare è antica e moderna, cristiana e pagana, «piena di grazia» e sgraziata, diseredata e colta, santa e puttana, ritmica e tribale, contaminata e meticcia, melodiosa di villanelle e stordita di tammurriate, sudata di folle vocianti di femminielli, «parenti» di San Gennaro, fujènti e lavandaie del Vomero. È un luogo della memoria, tra i cui labirinti risuona l'eco di antichi canti rituali. È il patrimonio popolare più autentico che spunta dal ventre di madre terra.

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La prima Compagnia di Canto Popolare non rivolge la propria attenzione alla produzione di nuove canzoni. «La nostra attuale ricerca è orientata alla sola riproposta del materiale autentico», scrive Roberto De Simone sulla copertina del primo album. L'obiettivo dei «soci fondatori» è ritrovare la linfa primitiva delle forme estinte di canto popolare, a cominciare dalla villanella napoletana del 500, soprattutto quella di origine contadina.

Nel gruppo, intanto, subentra il flautista Nunzio Areni. Carlo D'Angiò, nel 1971, decide infatti di lasciare la Compagnia per concentrarsi sulla laurea e su un futuro da ingegnere. È una scelta che addolora tutti: soprattutto l'amico di sempre, Eugenio Bennato, ma anche Roberto De Simone, che prova invano a trattenere il cantante.
Il «burbero» De Simone, l'ideologo e l'anima del gruppo, ha parole tenerissime per D'Angiò, scomparso nel settembre del 2016 all'età di 70 anni. «Era un vocalista straordinario, mi addolorai molto per la sua uscita dal gruppo». A distanza di tanti anni, De Simone ha anche un altro rimpianto. La rapida apparizione, e l'altrettanto rapida uscita di scena, di un'altra talentuosissima voce, quella di Patrizia Schettino. «Era una ragazzina, i genitori volevano che continuasse a studiare. Ricordo che si mise in mezzo pure uno zio prete... Quell'impasto di voci, quel connubio tra Carlo e Patrizia, non l'ho mai più ritrovato. Barra e Trampetti, entrambi straordinari, rappresentavano un'altra vocalità».
Prima di trovare in Fausta Vetere la magistrale voce femminile che, dal giorno del suo ingresso, non avrebbe più lasciato il gruppo, la Compagnia incrocia altre voci. Quella di Maria Capasso (alla quale De Simone affida l'interpretazione di alcuni celebri brani di Raffaele Viviani); quella di Maria Kelly («Splendida vocalista jazz); e quella di Lina Sastri, che tuttavia preferisce imboccare la strada del teatro.
«In quella meravigliosa ensemble che fu la prima Nuova Compagnia ognuno ha portato qualcosa. Io ho portato le mie esperienze teatrali», ricorda Peppe Barra. «È stato un incontro di grandi talenti, penso alle voci straordinarie della Schettino, poi di Fausta Vetere, alle vocalità di Giovanni Mauriello... Ma era la mano di Roberto che ci guidava, senza questa mano la NCCP non sarebbe esistita, questo va detto con grande onestà...».
Nel 1971 l'incontro con il grande Eduardo. «Un giorno vennero a sentirci in teatro Bruno Garofalo, lo scenografo di Eduardo, e Isa Danieli. Vollero tornare a trovarci, e ci fecero una sorpresa...».
(2/continua)
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