La vedova De Filippo: «Il mio Luigi? Una vita per il teatro e Napoli»

La vedova De Filippo: «Il mio Luigi? Una vita per il teatro e Napoli»
di Luciano Giannini
Mercoledì 4 Aprile 2018, 08:53
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Napoletana, di famiglia beneventana; più giovane di 24 anni; laureata in Legge; un posto al Banco di Napoli dei Parioli. In quell'agenzia, nell'88, l'incontro con Luigi De Filippo, che le cambiò la vita: «Per poco non abbiamo festeggiato i 30 anni di unione», dice Laura Tibaldi, terza moglie dell'attore e regista e autore morto sabato a 87 anni.

Laura, che cosa l'ha portato alla fine?
«Soffriva alla colonna vertebrale. Si era operato, e camminava, anche se a fatica. A ucciderlo è stata una polmonite contratta tre anni fa, curata male. Quando si è riaccesa, ha trovato un corpo troppo fragile».

Nell'88 che cosa la colpì di Luigi?
«Gli occhi... la riservatezza. Non ha mai sfruttato il suo cognome. Ci ha uniti la passione per il teatro. Un giorno, in banca, consultavo i tamburini. Lui si avvicinò: Le piace il teatro?. Moltissimo. E mi invitò al Parioli. Ci andai giorni dopo. Recitava Come finì don Ferdinando Ruoppolo, di Peppino. In platea capii chi era: un attore eccellente, che non imitava né il padre, né lo zio. Ci vedemmo, in banca. Perché non è venuta in camerino?; Non volevo disturbare; Lei non disturba mai. E mi disse che avrebbe portato a Benevento Pulcinella a modo mio. Mi invitò. Io ero separata, con un figlio piccolo. Anche lui ero solo; la moglie, Nicole Tessier, era morta poco prima del loro divorzio. Presi il bambino e andai. Mi portò a cena. A novembre '88 nacque la nostra storia».

Il palcoscenico, passione comune.
«Sì. La sua si orientava verso il grande teatro di tradizione, quello di famiglia. Il teatro era tutto, la scoperta ogni sera di un pubblico diverso; il piacere di essere non Peppino, non Eduardo, ma Luigi».

Quale è stata la sua lezione?
«Affrontare la vita a testa alta; credere che verrà un giorno migliore; non dar credito alle chiacchiere; agire con onestà, non sgomitare».

 

La vostra compagnia si chiama I Due della Città del Sole.
«A parte la citazione di Campanella, i due siamo noi, coppia indissolubile; nati entrambi a Napoli, assieme al teatro l'amore più forte, la città nobilissima, non quella di Gomorra. La cosa più bella ai funerali è stata la presenza di due gonfaloni: quelli di Napoli e della mia Benevento. Il Parioli continuerà in suo nome, con i suoi attori, e un erede, Enzo Decaro, interprete eccellente, raffinato, che metterà in scena le sue commedie. Il pubblico, mi diceva Luigi, va curato. Gli devi offrire testi intelligenti, che abbiano ritmo e piacciano ai giovani. Sono il pubblico di domani».
 
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