Affaire rifiuti, intervista a Cantone: «Sulle ecoballe appalti verificati, ma qui c'è ancora chi inquina»

Affaire rifiuti, intervista a Cantone: «Sulle ecoballe appalti verificati, ma qui c'è ancora chi inquina»
di Alessandro Barbano
Martedì 20 Febbraio 2018, 06:35 - Ultimo agg. 14:16
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Presidente Raffaele Cantone, il governatore Vincenzo De Luca, rispondendo alle polemiche sollevate dai video del sito Fanpage, sostiene che tutta la gestione dei rifiuti della Regione è sottoposta alla vigilanza dell'Anac. Un esempio nazionale, dice, di correttezza e trasparenza. Lei conferma?
«Noi abbiamo stipulato con la Regione Campania un protocollo di vigilanza collaborativa, dal momento in cui furono messi a disposizione dal governo i fondi per lo smaltimento delle ecoballe. Questo protocollo ci ha consentito di monitorare tutta l'attività connessa alle gare eseguite. Abbiamo preso visione degli atti prima che fossero adottati, lavorando sulle bozze di capitolati e di bandi di gara. I nostri rilievi sono stati in gran parte accolti. Di più, abbiamo valutato in sede di aggiudicazione dell'appalto l'esistenza di condizioni ostative. E nelle prime procedure di gara abbiamo disposto anche la presenza della guardia di finanza».

Con quali risultati?
«Ad oggi tutti i bandi sono stati aggiudicati, ad eccezione di quello di Villa Literno».

Ma in una prima fase alcune gare sono andate deserte?
«Sì, e la circostanza suscitò la nostra massima attenzione».

Qual era il motivo di questo impasse?
«Probabilmente ragioni economiche, non era così facile per le imprese potenzialmente concorrenti individuare i mercati di sbocco per una quantità così grande di rifiuti».

E poi?
«Poi i bandi sono stati ridotti e riorganizzati. Noi siamo intervenuti per far sì che i criteri di aggiudicazione fossero il più possibile aperti alla concorrenza. E il meccanismo si è sbloccato». 
Questa vigilanza ha impedito che si siano prodotti illeciti nella catena amministrativa e gestionale?
«Non esistono regole che impediscano a priori atti corruttivi o infiltrazioni criminali. Ma questo meccanismo li rende molto più difficili. Il livello di cautela che abbiamo introdotto nella procedura è stato particolarmente alto: abbiamo esaminato con grande attenzione tutte le clausole dei bandi, per evitare il rischio di regole scritte su misura, a vantaggio di determinate aziende. I nostri giuristi e tecnici sono stati particolarmente attenti nell'esaminare condizioni che nascondessero norme ad personam. Ma la protezione totale non esiste. Per questo motivo sono personalmente in contatto con il procuratore della Repubblica di Napoli e ho preparato un dossier sulle gare che gli trasmetterò, per dare tutto il nostro supporto alle indagini».

Attorno al sistema dei rifiuti in Campania c'è ancora una zona oscura di imprese grigie, faccendieri quando non propri e veri malavitosi, come il camorrista pentito assoldato da Fanpage, detentori di una vera professionalità a delinquere. Non le sembra che, appena il denaro pubblico è tornato a sgorgare dai rubinetti istituzionali, ci si siano tuffati dentro?
«Quello dei rifiuti è in assoluto il sistema a più alto tasso di inquinamento criminale. Basterebbe guardare quante interdittive antimafia lo attraversano. Sono un segnale inequivocabile della presenza di interessi della camorra. Questo settore non solo garantisce enormi utili, ma rappresenta anche un serbatoio di lavoro nero o grigio per la manovalanza».

La prova di quanto lei sostiene è nell'opacità della Sma, la società in house della Regione che opera per lo smaltimento dei fanghi. L'indagine della procura ha messo nel mirino alcune gare, per verificare se la procedura d'urgenza adottata non sia stata in qualche modo precostituita illecitamente per derogare alle regole ordinarie.
«La Sma è fuori dalla nostra vigilanza collaborativa. Ciò vuol dire che non abbiamo preso visione dei bandi di gara. Ma di nostra iniziativa abbiamo acceso un faro nei mesi scorsi, disponendo un'ispezione della guardia di finanza. Gli esiti, sui quali non posso esprimermi, sono stati da tempo inviati alla procura di Napoli».

Che idea si è fatta dei colloqui, registrati nel video di Fanpage, tra il camorrista fintosi imprenditore e l'amministratore delegato della società?
«Mi pare che la vicenda smentisca da sé chi in questa campagna elettorale propone di archiviare il nuovo codice degli appalti, per tornare ad avere mani libere sulle procedure. Più si creano meccanismi di deregulation, più si legittimano urgenze e rimedi meno trasparenti. Poi c'è un secondo aspetto. Queste società sono entità ambigue. Lavorano in parte come attori privati e in parte come soggetti pubblici. La loro anomalia agevola le perturbazioni più gravi. Tra l'altro sono state implementate quasi sempre senza concorsi pubblici, attraverso nomine eseguite con logiche politiche. Si occupano di settori delicati, dietro i quali si annidano grandi interessi economici. Così rappresentano delle vere e proprie bombe ad orologeria».

Vuol dire che possono essere infiltrate e dominate da interessi criminali?
«È il pensiero che ho fatto vedendo il primo video di Fanpage. Vive e prospera un sistema che io stesso ingenuamente ritenevo superato. Dopo l'emergenza della Terra dei fuochi, abbiamo creduto che certi meccanismi di smaltimento illegale appartenessero al passato. Ci accorgiamo ora che un pezzo dello smaltimento dei rifiuti avviene in modo irregolare. Tu portami il tubo, dice uno dei personaggi filmati, noi lo mettiamo nelle fognature».

Chi deve smaltire non si pone il problema di come smaltire, ma di smaltire e basta?
«E soprattutto dà per scontato che i meccanismi di controllo non funzionano. Perché non stiamo parlando di smaltimento privato, ma di smaltimento gestito dal pubblico, che dovrebbe garantire il massimo della trasparenza, anche dal punto di vista della tracciabilità dei rifiuti. Ciò mi ha lasciato agghiacciato. Perché malgrado tutto quello che è successo in Campania, malgrado l'emergenza ambientale e sanitaria che pesa sul destino di una regione, qualcuno fa finta di non capire e continua a pensare che il nostro territorio possa essere inquinato come se nulla fosse».

Un video racconta anche la contiguità amministrativa, oltre che familiare, tra il presidente della Regione e il figlio assessore al Comune di Salerno.
«Su questo aspetto mi astengo da qualsiasi considerazione. Riguarda questioni politiche e credo che da parte mia non sia opportuno esprimermi».

E allora si esprima sul metodo dell'inchiesta giornalistica. Che entra su una precedente indagine della procura non per illuminare illeciti, che i magistrati ancora non conoscano, ma per costruire virtualmente nuovi reati, proponendo per il tramite di un ex camorrista fittizi accordi corruttivi a politici che si suppone siano disponibili ad accettarli.
«Questa inchiesta mostra uno spaccato inquietante. E, al netto delle valutazioni sul metodo adottato, illumina un sistema di gestione dei rifiuti che resta opaco, a dispetto di ogni contromisura adottata. Dal punto di vista del risultato rientra nella cosiddetta funzione del cane da guardia propria del giornalismo d'inchiesta».

Anche al netto dell'impatto giudiziario? La procura, valutando il materiale probatorio raccolto da Fanpage, ritiene che l'attività giornalistica così concepita rappresenti un'istigazione alla corruzione, tant'è che iscrive nel registro degli indagati il direttore della testata e gli autori del video. E fa intendere chiaramente che, con la sua discovery elettorale, ha prodotto un danno pesante all'indagine giudiziaria in corso.
«Non posso che essere d'accordo con quanto sostiene la procura. Per ora stiamo vedendo solo il materiale giornalistico. Quando gli atti giudiziari saranno pubblici, capiremo il livello di inquinamento probatorio. Ma le affermazioni di un magistrato, anche cauto, come Giovanni Melillo, non sono causali: è evidente che questo rischio c'è e lo apprezzeremo».

Ma è giusto impiegare agenti provocatori per slatentizzare «in vitro» potenziali illeciti?
«Io sono stato sempre contro gli agenti provocatori e credo che questa vicenda è la prova di quanto sia pericoloso questo istituto e quanto sia inopportuno che venga regolato come strumento investigativo».

Eppure l'agente provocatore viene indicato in questi giorni da alcuni suoi autorevoli colleghi magistrati e da alcuni partiti, come i Cinquestelle, come la panacea per ripulire la democrazia e far cadere in trappola i politici potenzialmente corruttibili.
«Non credo che tra le funzioni delle indagini giudiziarie ci sia quella di individuare soggetti potenzialmente corruttibili, ma solo di perseguire chi ha commesso un reato».

Allora mettiamo sulla stessa bilancia effetti diversi. A distanza di dieci giorni dalla elezioni abbiamo il vantaggio di aver capito che il sistema dei rifiuti è ancora molto opaco in Campania, prima che ce lo dicesse la magistratura. Ma abbiamo prodotto un danno all'indagine e una turbativa elettorale che somiglia a un inquinamento. E stavolta l'attacco alla democrazia non viene dai magistrati ma dai giornalisti. Lei che dice?
«È una considerazione che, da magistrato, lascio a lei, perché riguarda anzitutto il giornalismo. Ma riconosco che questa vicenda pone al suo universo problemi deontologici rilevanti. Rispetto ai mezzi impiegati e ai tempi di pubblicazione. Credo che sarebbe opportuno che un codice deontologico stabilisse regole chiare».

Non basterebbe rispettare la legge? Se l'agente provocatore non è ammesso nel nostro ordinamento, non basterebbe sanzionare chi lo utilizza in maniera spregiudicata, o chi per esempio, attraverso l'impiego di false identità, fa cadere in trappola o mette alla berlina uomini delle istituzioni?
«Riconosco che questo è un tema cruciale per la democrazia. È indubbiamente vero che la funzione di cane da guardia del giornalista presuppone limiti diversi e più ampi di quelli del cittadino comune. Ma non credo che tra quest'ampiezza di limiti ci sia la possibilità di agire da agente provocatore. In ogni caso questa vicenda giudiziaria farà giurisprudenza e alla fine del processo sapremo se offrire una mazzetta per lo svolgimento di un'attività giornalista è un fatto lecito oppure no. Lo sapremo per bocca di un giudice».

Vuol dire che, alla fine, di ogni distorsione della nostra democrazia dobbiamo fare un dato dell'esperienza, per imparare qualcosa di nuovo?
«Può essere che il giornalismo impari da questa vicenda qualcosa, sia in positivo che in negativo. Ma per l'ennesima volta la lezione verrà dal giudice. Anche in campi in cui dovrebbero essere la deontologia attiva e gli ordini a indicare la via».

È la prova di una democrazia irriducibilmente debordante?
«È la prova di una democrazia che ha bisogno di regolatori. E, quando non ci sono i regolatori, i regolatori finiscono per essere i giudici».

La politica che cosa ha invece da imparare?
«Pur riconoscendo a un pezzo della politica di aver messo in campo strumenti oggettivamente nuovi, credo che la stessa politica debba imparare ad avere maggior cautela».

Nelle regole o nello stile?
«Nelle regole e nello stile».

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