Abusi sui minori, il Papa riapre il caso del sacerdote napoletano

Abusi sui minori, il Papa riapre il caso del sacerdote napoletano
di Franca Giansoldati
Sabato 17 Febbraio 2018, 07:10 - Ultimo agg. 18 Febbraio, 09:25
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In Vaticano si riapre il caso del prete di Ponticelli accusato di pedofilia. Papa Francesco ha richiesto «ulteriori e immediati» accertamenti. Vuole vederci chiaro. Vuole capire se le indagini svolte durante questi anni dalla diocesi di Napoli e, in seguito, dalle autorità competenti vaticane, relative alle accuse di abusi ai danni di alcuni bambini, e terminate nel 2016 con un'archiviazione, siano state fatte o meno accuratamente. Vuol capire se la procedura investigativa sia stata adeguatamente rispettata in tutte le fasi previste. Vuole che sia illuminato ogni singolo aspetto ancora oscuro della complessa vicenda.

Dopo il racconto inquietante di una presunta ulteriore vittima di abusi, recentemente affiorato dal silenzio dopo anni, Bergoglio ha sollecitato le strutture d'Oltretevere ad attivarsi in base alle nuove «evidenze», e ad approfondire il dossier, per verificare se il caso non sia stato chiuso un po' troppo frettolosamente dalla diocesi napoletana. Il Papa vuole capire che cosa esattamente, a suo tempo, abbia indotto chi investigava ad interrompere le inchieste e disporre l'archiviazione.

La vicenda avvenuta a Ponticelli, come è stato ampiamente documentato dall'inchiesta del Mattino, fu avviata a suo tempo dalla denuncia di un uomo ormai quarantenne, Diego Esposito, che accusava un prete napoletano, don Silverio Mura, di abusi sessuali da lui subìti a lungo durante la sua adolescenza. All'epoca dei fatti don Silverio era parroco della zona, e Diego un ragazzino di appena 13 anni. «Ero dominato dalla sua personalità, lusingato da questa amicizia. Quando succedeva ero impietrito. Diceva che il mio seme lo aiutava a stare meglio, a curarsi. Solo a 16 anni mi sono sottratto al suo dominio, all'epoca non ne parlai con nessuno per vergogna». Parecchio tempo dopo, nel 2010, Armando ormai adulto, marito e padre, iniziò ad essere colpito da gravi attacchi di panico che lo indussero a sottoporsi ad una psicoterapia. Fu allora che dalle ombre della sua memoria riemerse qualcosa di terribile che aveva rimosso per autotutela: gli abusi subìti un tempo, i traumi sepolti nel silenzio. Seguirono le denunce: una ai carabinieri (ma il reato dopo 10 anni senza una sentenza cadde in prescrizione), e l'altra alla diocesi napoletana, che avviò subito le procedure standard di verifica.
 
In alcuni documenti dell'arcivescovado si elencano i vari passaggi dell'inchiesta, la difesa di don Silverio Mura (che ha sempre negato le accuse), e il suo trasferimento misterioso in un luogo tuttora sconosciuto. Fu il cardinale Sepe a decidere di spedirlo in un luogo segreto, per «un periodo sabbatico di riposo e distacco». Arturo, intanto, venne ascoltato dal vicario episcopale e da uno psichiatra di fiducia della curia. Tre ore di «interrogatorio poliziesco», scrive il medico curante della vittima in una lettera al cardinale, denunciando metodi da Gestapo tali da aggravare la depressione al suo paziente, come dimostrerebbero ampiamente i referti medici.

Visto che il tempo passava senza che accadesse mai nulla, la vittima scrisse di suo pugno al Vaticano. La Segreteria di Stato nel 2014 incaricò per competenza la Congregazione per la Fede di analizzare di nuovo la vicenda. Il 2 ottobre 2014 l'ex Sant'Uffizio richiamò la diocesi, chiedendole di effettuare una investigazione previa a norma del canone 1717 del codice canonico. «Nell'ambito dell'indagine sono stati di nuovo formalmente ascoltati la presunta vittima, il suo psichiatra, il suo psicologo e vari testimoni tra cui uno indicato dallo stesso accusatore». Sempre nell'ambito dell'istruttoria, venne chiesto alla vittima di sottoporsi di nuovo ad una verifica psichiatrica. Ma Diego, memore del grande disagio procuratogli dalla prima visita, non se la sentì, e fu costretto a rinunciare. («Purtroppo non è stato possibile espletare tale perizia per il rifiuto del periziando»).

A questo punto, tutto il faldone da Napoli ritorna a Roma. «Trasmessi gli atti dell'attività istruttoria alla Congregazione per la Dottrina della Fede, questa nel 2016 riteneva non essere emersi gli elementi sufficienti per avviare un processo penale a carico del reverendo don Silverio Mura». Il fascicolo vaticano fu chiuso e sigillato, in base alla documentazione arrivata da Napoli. In questi giorni, su indicazione di Papa Francesco, la Congregazione della Fede ha rispolverato il fascicolo, acquisendo ulteriori elementi. Ovvero le parole di denuncia di una nuova presunta vittima di don Silverio Mura. Questo secondo ex bambino abusato, G.S., oggi ha 37 anni ed ha anche lui una bella famiglia. Come Diego, in quegli anni abitava a Ponticelli, a due passi dalla casa di don Silverio. Stando al suo racconto, avrebbe subìto il medesimo genere di abusi con le stesse modalità, piccoli regali, gesti affettuosi e lusinghieri, fino a impossessarsi della fiducia del ragazzino ed arrivare alle violenze che G.S. descrive con dolore enorme. Una confessione che giunge a distanza di decenni, per liberarlo da un'esperienza che gli è costata la serenità interiore e la fede. Proprio come nel caso di Diego. Il cardinale Sepe nel frattempo, come si è detto, aveva provveduto a trasferire in un luogo segreto il prete in questione, senza mai fornire alla comunità alcuna spiegazione ufficiale di questa decisione. G.S., a riprova dell'autenticità del suo racconto, riferisce persino alcuni dettagli anatomici intimi del prete. «Ora ho paura che don Silverio possa fare del male ad altri bambini.

Quando vedo mio figlio di 4 anni penso che la Chiesa debba intervenire per evitare la possibilità che possa fare altro male. Fino al 2014 questo prete ha continuato ad insegnare nelle scuole». All'interno della Chiesa questa vicenda ha sollevato molti interrogativi. Un caso inquietante, che probabilmente necessitava di un supplemento di attenzione generale per diradare ogni ragionevole dubbio. Gli elementi per incoraggiare un'indagine non erano pochi. È per questo che Papa Bergoglio, informato dei fatti, non ha avuto dubbi: «Si proceda».

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