I ricordi di Cristina Donadio:
«Mi chiamavano Lagnasecca
perché piangevo senza lacrime»

I ricordi di Cristina Donadio: «Mi chiamavano Lagnasecca perché piangevo senza lacrime»
di Maria Chiara Aulisio
Lunedì 12 Febbraio 2018, 20:48 - Ultimo agg. 4 Marzo, 08:08
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Cristina Donadio se preferite Scianel, «perché me ne intendo assai 'e profumi... e tu puzzi già 'e morte», o pure lagnasecca, come la chiamava invece da bambina sua sorella Cecilia per la capacità di piangere senza cacciare una lacrima un primato lo detiene certamente: a 37 anni era già mamma, nonna, divorziata e pure vedova. Famiglia numerosa sei figli, cinque sorelle e un fratello , variegata e impegnativa, quella in cui nasce l'attrice napoletana: mamma Maria «roccia di casa», papà Vittorio gioielliere, un fantastico nonno-sitter e una ciurma di bambini a cui trasmettere la passione per l'arte e il cinema, la musica, i viaggi, il teatro e il mare di Posillipo. «È qui che sono nata, in un antico palazzo dove abitava quasi tutta la famiglia. È a Villa Martinelli che conservo i miei ricordi più belli, tra il ritmo lento della controra d'agosto, gli scoponi giocati dai grandi sulla spiaggia, e i pomeriggi passati mangiando pane e parmigiana con i ragazzini della zona».
 
 

Vive ancora a Posillipo?
«Quando ci sono, sì. Non riuscirei a farne a meno. Stare vicino al mare è una passione che avevo sin da piccola. Ricordo ancora quando andavo gironzolando per le spiagge con mio zio Renato, giocatore del mitico Settebello della Rari Nantes. Lo devo anche a lui se conosco ogni grotta e ogni anfratto di Posillipo. Con le mie sorelle ci rifugiavamo lì per raccontarci sciocchezze e scambiarci piccoli segreti».

Rossana, Marcella, Cecilia, Laura e mamma Maria. Una famiglia tutta al femminile, la sua.
«Diciamolo: a casa mia hanno sempre comandato le donne. Fosse solo per una questione di numeri: sei a due, non ce l'avrebbero mai fatta. Mio padre, di tanta complicità, forse un po' ne soffriva ma alla fine ha dovuto rassegnarsi. Anche perché con mia madre c'era poco da fare».

Maria, la roccia di casa.
«Una colonna. Sempre. Qualche colpo lo ha perso, adesso quasi novant'anni e una malattia che un po' alla volta la sta confinando in un mondo tutto suo dal quale raramente viene fuori. Ma ha combattuto una vita intera, la nostra è sempre stata una famiglia complessa e assai numerosa».

Qual è il ricordo più bello che ha di lei?
«Mi viene in mente quello più dolce. Avevo 16 anni, mi portava mio figlio a scuola perché lo allattassi. Studiavo al liceo Mercalli, spuntava in classe con Chicco in braccio, ricordo ancora la gioia di quei momenti».

Mamma a sedici anni. Poco più di una bambina.
«Dico sempre che mio figlio ed io siamo cresciuti insieme. Sarà per questo che viviamo una sintonia assoluta che nessuno riuscirà mai a comprendere. Siamo nati pure nello stesso giorno, fu il più bel regalo che potessi mai ricevere».

Un'amica più che un genitore.
«Sì, ma non solo per colpa mia. Mia madre, la famosa roccia, aveva deciso che ero troppo piccola e quindi era meglio che di Chicco si occupasse lei; non le pareva vero di avere un altro neonato tra le mani. Gli facciamo il bagnetto?, e lei: Non ti preoccupare Cristina, stai tranquilla, ci penso io. La verità? Non ho mai passato neanche una notte in bianco. Però a scuola la usavo come scusa quando non ero preparata».

Quanti anni ha suo figlio?
«Quaranta. Ha tre figli e vive ai Caraibi».

Ai Caraibi?
«Gestisce un'attività commerciale. Diciamo che tiene vivo lo stile ondivago della famiglia Donadio. È molto simile a mio fratello Ugo, che purtroppo non c'è più. Lui pescava sott'acqua anche in pieno inverno, suonava la chitarra elettrica, e mi fece letteralmente innamorare di Jimi Hendrix, che per anni è stato il mio idolo. Ascoltavo la sua musica e cantavo e ballavo come una pazza».

Stava venendo fuori l'attrice.
«Se è per questo, ci ho sempre provato, pure da bambina. Quando c'erano le cene di famiglia, davanti a un pubblico di nonni, zii e cugini, mi esibivo come una star. Sceglievo un copione e recitavo sui tavoli. Guai a chi non mi ascoltava in silenzio».

Cominciava a fare la lagnasecca. Ma è vero che sua sorella la chiamava così?
«Piangevo senza lacrime, ero bravissima. Lagnavo per ogni sciocchezza, tormentavo letteralmente le mie sorelle. E allora Cecilia mi affibbiò il nomignolo di lagnasecca, che naturalmente mi faceva lagnaresecca ancora di più. La verità è che da bambina sono sempre stata piuttosto impegnativa».

Lo è ancora, così impegnativa?
«Sarà perché ho una testa maschile in un corpo parecchio femminile, ma a volte mi sembra di far paura».

A furia di interpretare Scianel, poi, pure peggio.
«Esatto. D'altronde, il mio lavoro mi chiede di essere il personaggio, non solo di interpretarlo. E per trasformarmi in Scianel ho dovuto andare a cercare il demone nascosto da qualche parte dentro di me. La perfidia esiste anche tra le donne, non facciamoci illusioni. Saviano, del resto, si è ispirato a una figura reale femmina di camorra che non combatte per marito o figli, ma per se stessa e il proprio potere».

Dica la verità: faceva la camorrista pure da bambina?
«Altroché».

Davvero?
«Ma scherzo... Però è vero che ho sempre avuto una spiccata attitudine melodrammatica: ogni capriccio era una recita; se non me la davano vinta, mettevo su uno spettacolo. Ma forse bisognerebbe chiederlo alle mie sorelle... ancora me lo rinfacciano, quanto mi hanno dovuto sopportare».
 
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