Materazzo in carcere a Rebibbia:
​«Vorrei parlare con le mie sorelle»

Materazzo in carcere a Rebibbia: «Vorrei parlare con le mie sorelle»
di Gerardo Ausiello
Lunedì 5 Febbraio 2018, 07:12 - Ultimo agg. 10:15
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Dalla capitale andalusa a una cella striminzita, con le pareti aggredite dalla muffa. È cominciata così la terza vita di Luca Materazzo, da pochi giorni detenuto a Rebibbia con un'accusa infamante, quella di aver ucciso a coltellate il fratello Vittorio. Le prove sono schiaccianti, ma il 36enne di Chiaia continua a professarsi innocente. E chiarisce subito che combatterà la sua battaglia legale fino in fondo. Lui che ama la legge e, al consigliere regionale del Lazio Fabrizio Santori che l'ha incontrato in carcere nel corso di una visita ispettiva, dice di essere avvocato. «Conosco bene i miei diritti, sono tranquillo», assicura interrompendo il pranzo, che gli è appena stato portato dagli agenti. Occhiali, tuta e scarpe da ginnastica, Materazzo è sempre lo stesso. Sicuro di sé, lo sguardo acuto, intelligente, e quella freddezza che mette un po' a disagio, gli occhi di ghiaccio che difficilmente dimenticheranno anche i suoi ex compagni di lavoro, alla Terraza, nel cuore pulsante di Siviglia, dove il 36enne sognava di ricominciare, lasciandosi alle spalle il sangue, e il dolore.

Per un anno Luca ha fatto perdere le sue tracce, ingannando le polizie di mezza Europa che lo hanno inseguito prima nei Paesi dell'Est, poi in qualche paradiso esotico. E invece il rampollo di Chiaia era a meno di due ore di aereo da Napoli. Tanto che tra i suoi amici e conoscenti c'è chi giura di averlo visto fare la spesa al supermercato sotto casa, come se non fosse mai successo nulla, come quando, finito l'allenamento in palestra, andava a rifocillarsi, mentre per qualcuno era addirittura tra gli invitati a un matrimonio della Napoli bene. Una sorta di mito negativo, un'ossessione, la primula rossa dalle mille identità. Fino a quella soffiata alla polizia spagnola, probabilmente ad opera di qualcuno che Luca conosceva, e a cui Luca non piaceva. Ora che è di nuovo in Italia, la realtà lo investe. Fa male. Gli affetti rimasti qui, la sua prima vita. «Mi mancano i miei nipoti, vorrei riabbracciarli» racconta. Il pensiero va anche alle sorelle: «Sarei felice di avere un contatto, di parlare con loro. Mi dispiace per quello che è successo, per l'avviso di garanzia...». E agli amici: «Vorrei riabbracciarli, non li sento da quando sono andato via, sarebbe bello se venissero a trovarmi». Ha voglia di aprirsi Materazzo, come uno che è rimasto zitto per troppo tempo. È un fiume in piena. «A Rebibbia mi trattano bene, il personale è meraviglioso, ma Madrid era un'altra cosa. In quel carcere sono rimasto un mese. Lì c'è grande rispetto per la dignità dei detenuti, se hai bisogno di un medico o di un infermiere ci sono sempre. È tutto pulito, mentre qui, guardi - dice a Santori - c'è la muffa. Mi hanno dato il sapone, la carta igienica, ma si stanno esaurendo e non vorrei attingere alle risorse personali, non posso utilizzare i miei soldi altrimenti finiranno».
 
Rinchiuso nella sua cella singola, di due metri per tre, dove tra letto e tavolino è appoggiato un piccolo televisore, il giovane Materazzo pensa al futuro. «Mi sono sempre dato da fare, come portiere in uno stabile, come cameriere, e voglio continuare a lavorare. Ho già chiesto un impiego in carcere, spero me lo diano». Due giorni. Poi ci sarà la prova più difficile. Il ritorno a Napoli, perché, mercoledì, lo attende l'udienza preliminare davanti al giudice Alfonso Sabella (preceduta, sabato scorso, dall'interrogatorio di garanzia). Il 36enne non vuole arrivarci impreparato e studia le carte. Come se fosse l'avvocato di se stesso, come se toccasse a lui l'arringa più importante. Eppure - rinchiuso nel nuovo complesso di Rebibbia, in un braccio che accoglie i detenuti con reati gravi e dove i bagni sono solo in comune - mantiene la calma, le mani dietro la schiena, nessun accenno di tensione. Si scusa per l'abbigliamento non elegante, prima di riprendere a parlare del mondo dell'avvocatura, snocciolando numeri su quante toghe operano in Spagna, Germania, Italia. E si sofferma a lungo sui diritti, dei detenuti ma non solo. Quasi fosse il suo nuovo progetto. E, in fondo, anche ciò avrebbe un senso, perché non c'è redenzione senza peccato.

«Materazzo mi ha chiesto di far sapere che la situazione delle carceri, a Rebibbia e altrove, è molto difficile, e che c'è una distanza abissale dal sistema penitenziario spagnolo - spiega Santori al Mattino - Prima di Rebibbia sono stato a Regina Coeli e concordo sul fatto che ci sia molto da lavorare. Strutture sovraffollate, poco personale. A Rebibbia, ad esempio, la capienza massima è 1200 unità, ma ce ne 1500 a fronte di spazi ridotti perché tre aree del penitenziario sono momentaneamente inaccessibili per interventi di ristrutturazione. È un tema che va affrontato finalmente con determinazione, una precisa strategia e le idee chiare», aggiunge il consigliere regionale di Fratelli d'Italia. La porta della cella si chiude. Materazzo torna al suo mondo, ormai il pranzo è freddo. Come la sua seconda vita, quella fatta di tapas, gin tonic e quattro chiacchiere al bar con i turisti, che non esiste più.
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