Donne e laureati, più chance se il datore di lavoro ha studiato

Donne e laureati, più chance se il datore di lavoro ha studiato
di Nando Santonastaso
Domenica 4 Febbraio 2018, 13:25 - Ultimo agg. 15:24
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Se sei un laureato hai maggiori possibilità di trovare un lavoro nell'impresa di cui è titolare un laureato come te, anche se non necessariamente nella stessa materia.

Se il patron invece la laurea non ce l'ha, sarà decisamente più difficile che possa assumere uno che il ciclo di studi lo ha completato. Se sei invece un diplomato negli istituti tecnico-professionali, devi sapere che solo il 40 per cento riesce a trovare un'occupazione non precaria nei due anni post-diploma ma appena il 34 per cento ne trova una coerente con il proprio titolo di studio.

Due ricerche, due scenari convergenti: in Italia trovare un lavoro congruo per i giovani appena usciti dalla scuola o dall'università resta complicato ma «studiare serve sempre», come dice Stefano Sacchi, presidente dell'Inapp (ex Isfol) che curato il primo studio (l'altro è della Fondazione Agnelli). Ma procediamo con ordine.

L'Inapp ha analizzato un campione di 30mila imprese con almeno un dipendente in tutta Italia, suddivise equamente per aree geografiche. Voleva conoscere l'incidenza dei posti di lavoro dei laureati negli organici aziendali in rapporto al titolo di studio del datore di lavoro.

È emerso che in media gli occupati in possesso di laurea sono il 25 per cento del totale dei dipendenti se a capo dell'azienda c'è un laureato, anche se in una materia non strettamente connessa al ramo di attività. Se invece il capo dell'impresa è solo un diplomato, la percentuale dei dipendenti laureati assunti scende al 6 per cento. «È una differenza forte, che fa riflettere dice Sacchi -. Intanto, perché dalla nostra banca dati si ricava che solo un imprenditore su cinque è in possesso di laurea e quindi può capire l'importanza di assumere lavoratori in possesso dello stesso titolo. Peraltro, sempre in base ai risultati della nostra ricerca, l'imprenditore laureato occupa più donne laureate in media rispetto ai maschi».

Lo studio non scende nel dettaglio del tipo di scolarizzazione degli imprenditori. A puro titolo di curiosità, si può ricordare un dato emerso da uno studio degli economisti Schivardi e Torrini in base al quale un imprenditore laureato in materie tecnico-scientifiche può assumere anche un terzo di laureati sul totale dei dipendenti nella propria azienda.

«Di sicuro dice Sacchi il messaggio arrivato qualche giorno fa dalla Confindustria di Cuneo rischia di essere devastante per gli stessi imprenditori: se si sostiene che studiare non serve al mondo dell'impresa, da un lato chi vuole fare impresa non studierà, dall'altro chi studierà tenderà a pensare che il mondo dell'impresa non fa per lui o lei. Difficile però negare che oggi per gestire imprese più grandi servono competenze maggiori e più strutturate che si ottengono solo con l'istruzione. Morale: il basso valore dato dagli imprenditori all'istruzione rischia di essere un ostacolo pesante alla crescita delle stesse imprese».

 

L'Inapp peraltro nella stessa ricerca dimostra che a parità di livello di istruzione sono i percorsi di studio tecnico-scientifici a garantire un quid di occupazione in più. E questo vale a parità sia di diploma secondario superiore, sia di laurea triennale, sia di master. «La scuola dice Sacchi deve insegnare all'alunno ad essere adattabile al cambiamento e a risolvere i problemi: deve dargli tutte le competenze trasversali sulle quali poi le aziende dovranno cercare ciò di cui hanno bisogno. Pensare però che un certo tipo di lavoro tecnico, come quello degli operai specializzati di cui parlava la Confindustria di Cuneo, possa essere valido anche a distanza di cinque anni rischia di essere un azzardo: non commettiamo l'errore della iperspecializzazione».
Sulla stessa lunghezza d'onda anche lo studio condotto dalla Fondazione Agnelli sulla scorta di dati del ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, del ministero del Lavoro e dell'Anagrafe nazionale dello studente. Sono stati presi in considerazione i diplomati tecnico-scientifici degli ultimi bienni su scala nazionale e valutati i tempi altrettanto biennali del loro approccio con il mercato del lavoro. Come detto, lo scenario che ne è venuto fuori non è esaltante: fatti 100 i diplomati in questione, solo il 30 per cento ha deciso di proseguire gli studi all'università e appena il 28 per cento di quelli che hanno deciso di trovare subito un'occupazione è riuscito a lavorare per almeno sei mesi nei due anni dopo il diploma. Inoltre il 14,7 per cento ha lavorato in impieghi saltuari.
L'indice complessivo di occupazione si è attestato al 40 per cento che gli estensori della ricerca giudicano positivamente considerato che solo da un anno la ripresa economica sembra essersi consolidata.
Ma se si scende nel dettaglio la situazione non appare così omogenea: al Sud ad esempio i tempi di attesa per un diplomato tecnico-scientifico che cerca lavoro superano abbondantemente i dodici mesi rispetto alla media nazionale di 263 giorni.
Inoltre, a distanza di due anni dal diploma, solo un diplomato su tre tra quelli occupati svolge un lavoro adeguato al suo titolo di studio. «La metà dei diplomati deve accontentarsi di un lavoro qualsiasi - scrivono i ricercatori - mentre il 14,4 per cento svolge professioni accessibili anche ad altro tipo di diploma».
Sul piano contrattuale una metà degli occupati ha sfruttato le opportunità del Jobs act (contratti a tempo indeterminato) mentre un'altra ha usufruito dei contratti di apprendistato. Ma a questa condizione sono approdate meno ragazze rispetto ai loro colleghi maschi. E, cosa tutt'altro che trascurabile, la selezione non è sempre dipesa dal voto dell'esame. «II voto di maturità è solo blandamente associato con le opportunità lavorative tanto è vero che dieci punti in più all'esame di stato danno un bonus in termini di probabilità di essere occupati non superiore all'1 per cento. La qualità degli apprendimenti, così come catturata dal voto di maturità, ha invece un impatto maggiore, per quanto sempre contenuto, sulla probabilità di trovare un'occupazione coerente con il titolo di studio. In questo caso dieci punti in più equivalgono ad un bonus del 3,8 per cento».
Sul piano specifico, buone notizie soprattutto per i diplomati nell'istruzione professionale del settore servizi. La probabilità che trovino un'occupazione in linea con gli studi compiuti supera del 25 per cento quella dei diplomati tecnici nel settore economico. Come a dire che non tutti i diplomati degli istituti tecnico-professionali sono uguali di fronte al lavoro.
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