Maria Pirro
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«No al mutuo perché ammalato»,
in Campania privacy violata

«No al mutuo perché ammalato», in Campania privacy violata
di Maria Pirro
Mercoledì 31 Gennaio 2018, 10:04 - Ultimo agg. 23:59
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«Un ragazzo si è visto rifiutare un mutuo, ma è successo anche ad altri campani contagiati da sangue infetto a causa di una trasfusione avvenuta ormai decenni fa, durante un ciclo di cure oppure a seguito un intervento chirurgico. Vittime, questa volta, di una controversa violazione della privacy: gli ammalati non hanno ottenuto un prestito perché i problemi di salute sono stati scoperti attraverso i pagamenti bancari degli indennizzi riconosciuti in loro favore». Inizia così la battaglia legale, l'ennesima dopo lo scandalo.

Come racconta l'avvocato Michele Scolamiero, «nella causale degli indennizzi, la Regione aveva infatti specificato la dicitura ex legge 210/92 associata al motivodel risarcimento per danno», tra cui un'infezione da Hiv, epatite o di altro tipo. «Facile individuarli tra i potenziali clienti». Una situazione «che ha dato luogo a discriminazioni e a una esclusione a priori, senza neanche procedere all'istruttoria per valutare se ci fossero le condizioni necessarie a stipulare una polizza sulla vita».

Non solo: «Per tutti gli altri, c'è stata comunque una diffusione indebita di un dato sensibile», afferma Scolamiero, che ha seguito il caso insieme con il collega Emilio Mignone, presentando istanze in tutte le sedi, fino a ottenere l'intervento della Corte di Cassazione per cancellare definitivamente quel riferimento normativo.

I 1500 euro a bimestre che la Campania e le altre regioni corrispondono agli ammalati devono essere «segreti»: i motivi dell'assegno vanno criptati in ogni dettaglio, proprio perché si tratta di dati relativi alla salute. I giudici supremi, afferma l'avvocato mostrando il provvedimento, «ci hanno dato ragione accogliendo quattro ricorsi con le sentenze emesse a sezioni unite», che hanno chiarito e unificato la giurisprudenza in materia. Altri 58 ricorsi erano stati infatti presentati in precedenza dallo stesso pool legale e hanno avuto verdetti contrastanti. «In un caso - spiega Scolamiero - il Tribunale di Napoli ha anche riconosciuto un risarcimento simbolico di mille euro a persona». Ora, con questa sentenza, partiranno altre azioni giudiziarie: «Contro le banche e contro la Regione Campania, che solamente da circa un anno ha iniziato a criptare i dati di salute di queste persone, nonostante già nel 2008 il Garante della privacy fosse intervenuto contro questa condotta».
 
La Suprema Corte, aggiunge il legale, «ha finalmente messo fine a un annoso dibattito che contrapponeva quanti subordinavano la tutela del trattamento dei dati personali alle esigenze istituzionali degli enti pubblici e degli istituti di credito». I giudici auspicano «in ogni settore della pubblica amministrazione una definizione di policy, di protocolli idonei a limitare la rivelazione di dati concernenti la dignità delle persone». Una posizione quantomai attuale, perché arriva a pochi mesi dall'applicazione del nuovo regolamento europeo sulla privacy, fissata per il 25 maggio. «Gli enti pubblici - sottolinea Scolamiero, annunciando stretta vigilanza - dovranno rendere conforme la loro attività istituzionale nel trattamento e nella trasmissione dei dati sensibili».

Annuisce G.A., napoletano di 49 anni, che negli anni Ottanta ha contratto sia l'infezione da Hiv che l'epatite C, tra i quattro ricorrenti che hanno avuto ragione. Lui racconta un altro risvolto «dovuto alla diffusione di informazioni personali e alla disinformazione diffusa: un impiegato in banca mi ha stretto la mano con repulsione. Un altro in circostanze diverse se l'è andata subito a lavare».

Angela Iacono, presidente della Fondazione Leonardo Giambrone, spiega: «Dal 1992 il nostro impegno è costante accanto gli ammalati, non per loro negligenza, ma per colpa dello Stato. Li abbiamo affiancati anche nelle vicende giuridiche chiuse con la sentenza di Strasburgo e con una equa riparazione, di 100mila euro, stabilita dal governo Renzi. Abbiamo poi fatto una battaglia per estendere le cure innovative che ai pazienti talassemici affetti da epatite C consentono di neutralizzare la malattia». Rimane però lo stigma: «Negli uffici, spesso viene richiesto il motivo della certificazione necessaria a rinnovare l'indennizzo senza fare attenzione alla privacy. E questo mette tutti in imbarazzo».