Il boom della bresaola: nel piatto nuda e cruda o insieme al sushi e alla rana pescatrice

Il boom della bresaola: nel piatto nuda e cruda o insieme al sushi e alla rana pescatrice
di Carlo Ottaviano
Mercoledì 17 Gennaio 2018, 10:40 - Ultimo agg. 25 Gennaio, 13:28
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Dimenticate scagliette di grana e rucola oppure olio e limone (che “brucia” la carne). La bresaola si mangia “santa”, nuda e cruda, al massimo accompagnata da riccioli di burro di ginepro e pane di segale. Oppure fatene ingrediente in ricette perfino a base di pesce come il medaglione di rana pescatrice o in originali sushi. Se cercate idee per un menù completo a base di bresaola ne trovate a decine nel sito del Consorzio al quale aderiscono tutte le aziende della zona. Del resto, passate le feste, tra i prodotti ritenuti dietetici che in molti consumano c’e la Bresaola ella Valtellina. E allora scopriamone qualche segreto.

Per prima cosa va detto che salatura ed essiccamento della carne non sono certo esclusive della zona, è un metodo antichissimo di conservazione in tantissimi paesi (in Svizzera e Germania si fa il Bindenfleischm, in Russia la Suschenaja govjadina e nei paesi slavi il Suho meso, solo per restare in Europa). Ma qui un mix di tradizione secolare (le prime testimonianze risalgono al XV secolo) e il clima tipico della Valtellina, permettono di ottenere un prodotto unico. Sulle ali delle diete – è in assoluto il salume più povero di grassi – e della voglia di mangiar sano, la bresaola è un alimento ricercatissimo: che tradotto in numeri significa una produzione annua di oltre 12 mila tonnellate per un giro d'affari di 215 milioni di euro. Insomma uno dei più antichi e tradizionali salumi italiani sta vivendo una nuova giovinezza.

 

 


Com'è dimostrato dall'incremento del 39 % di vendite in 15 anni, in netta controtendenza sulle altre carni rosse. Il gradimento dei consumatori, stando a una recente ricerca Doxa, non è stato intaccato neanche dal sapere che la quasi totalità della materia prima proviene dal nord Europa e dal Sud America. «Gli italiani – afferma Mario Della Porta, presidente del Consorzio Tutela Bresaola della Valtellina - sanno bene che quello che conta è la qualità: non sono preoccupati dalla provenienza estera della materia prima ma vogliono sapere da dove vengono i bovini, come sono stati allevati, chiedono sostenibilità ambientale e trasparenza». L'acquisto all'estero dei tagli necessari per la bresaola è del resto una strada obbligata per la carenza italiana di carni da macello (abbondiamo invece di mucche da latte). I cinque tagli più pregiati da cui dipende il prezzo finale sono nell'ordine punta d’anca, magatello, fesa, sottofesa, sottosso; i bovini devono avere tra i 18 e i 48 mesi di età. Regole queste categoriche del disciplinare di produzione. Ogni produttore ha però la sua ricetta segreta. C'è chi aggiunge vino, particolari spezie naturali, zuccheri per dare diverse sfumature di gusto e chi negli almeno 10 giorni di salagione massaggia la carne per consentire l’uniforme dispersione del sale e degli aromi all’interno della polpa.
Nonostante il successo di mercato, la bresaola non subisce ancora le imitazioni massicce di altri prodotti, il cosiddetto italian sounding. Evidentemente il clima della Valtellina essenziale per la stagionatura è assolutamente irripetibile e per fortuna ancora nessuno è riuscito a ricreare chimicamente quei sentori fruttati, di sottobosco e di funghi, “imprigionati” in una fetta di bresaola.

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