Fake news, haters e tasse: il 2018 difficile di Facebook

Fake news, haters e tasse: il 2018 difficile di Facebook
di Andrea Andrei
Martedì 2 Gennaio 2018, 00:05 - Ultimo agg. 12 Gennaio, 15:07
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Un anno di crescita, sia nel numero degli utenti che da un punto di vista economico. Ma soprattutto un anno di problemi, di critiche, di crisi e di tentate soluzioni, di rivelazioni e di annunci. Il 2017 rimarrà impresso nella storia di Facebook, e il 2018 potrebbe essere ancora più complicato. Non solo appunto per aver infranto i record dell’anno precedente (soprattutto grazie alla sua controllata Instagram, che negli ultimi 12 mesi ha registrato un boom arrivando a superare gli 800 milioni di utenti mensili), ma perché per la prima volta il social network si ritrova seriamente messo in discussione, tanto sotto il profilo fiscale quanto - cosa inedita - sotto il profilo politico e sociale. Problemi che si sono insinuati silenziosamente, lì tra post, like e pubblicità, e che sono esplosi all’improvviso, costringendo l’azienda di Mark Zuckerberg a porre rimedio in fretta, ma non sempre in modo efficace.

LE BUFALE
Il filo rosso e al contempo la metafora della malattia che ha colpito il social network sono le bufale, le cosiddette “fake news”. Un termine che è stato sdoganato dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e che proprio lui riguardano. L’accusa mossa a Facebook, inizialmente etichettata come «una follia» da Zuckerberg, è di aver “inquinato” le elezioni americane inondando i cittadini d’oltreoceano con una serie di pubblicità, notizie false e contenuti finalizzati ad acuire le tensioni sociali negli Usa e favorire così l’ascesa di Trump. Contenuti immessi, a pagamento, dalla Russia. Lo stesso Zuckerberg ha dovuto ammettere che almeno 10 milioni di utenti sono stati coinvolti, e Facebook è così improvvisamente diventata per l’opinione pubblica il cavallo di Troia con cui il nemico storico è riuscito a entrare non solo nei confini, ma direttamente nelle case degli americani.

Di lì in poi, il cancro delle fake news si è diffuso molto rapidamente, diventando una minaccia per la stessa sopravvivenza di Facebook. Un rapporto di Freedom House ha rivelato che in tutti i 18 Paesi in cui ci sono state elezioni nell’ultimo anno si sono verificati casi di contaminazione causati dalle bufale, e ci ha pensato il New York Times a mettere in allerta anche il nostro Paese dello stesso rischio. Il 18 gennaio scade invece l’ultimatum del parlamento britannico, la cui Commissione media ha chiesto a Facebook e Twitter, minacciando sanzioni in caso di mancata collaborazione, di fornire informazioni su presunte interferenze nel referendum sulla Brexit.

E proprio mentre Facebook cercava di rimettersi in equilibrio con l’istituzione di un team dedicato al contrasto delle fake news, da Bloomberg è arrivato un altro forte spintone. La testata Usa ha infatti pubblicato nei giorni scorsi un’inchiesta in cui si sostiene che l’azienda di Menlo Park sia in realtà parte attiva della propaganda politica in tutto il mondo. Facebook avrebbe un team che si occupa di interagire con partiti e leader politici per insegnare loro l’arte della comunicazione digitale. Nulla di strano, se non fosse che fra questi ci sia anche chi utilizza i social per annientare l’opposizione, magari proprio manipolando l’informazione. Non solo: i componenti di questo team, capitanato dall’ex “digital strategist” repubblicana Katie Harbath, sarebbero poi entrati a far parte degli staff delle campagne elettorali di leader come il filippino Rodrigo Duerte o il presidente argentino Mauricio Macri.

LA LEGGE
Un’altra tegola su Menlo Park, sempre a causa delle fake news, arriva dalla Germania. Con il nuovo anno finiscono infatti i tre mesi che le grandi aziende digitali avevano a disposizione per adeguarsi alla legge che prevede multe fino a 50 milioni di euro per chi non riesca efficacemente a combattere bufale e “hate speech”, i contenuti d’odio. Ora i colossi del Web, da Facebook a Twitter, avranno 24 ore di tempo per rimuovere post offensivi o false informazioni, tempo che può arrivare a un massimo di una settimana in casi particolarmente controversi. Il pugno di ferro tedesco potrebbe essere presto imitato anche da altri Paesi europei: un bel problema per Zuckerberg, considerata la difficoltà di moderare post e discussioni sul social. Più volte Facebook è finita nell’occhio del ciclone per aver censurato dei contenuti innocui e aver invece lasciato pagine e commenti razzisti.

Non finisce qui. L’Antitrust tedesca ha infatti accusato l’azienda di abuso di posizione dominante per aver violato le leggi sulla protezione della privacy e acquisito più dati di quanti gli utenti le abbiano consapevolmente concesso, monitorando i siti ai quali gli stessi accedono.

Come se già non fosse abbastanza, Facebook si ritrova anche a dover fronteggiare anche un problema sociale. Alcuni ex dirigenti l’hanno accusata di «distruggere la società» e una ricerca interna all’azienda ha evidenziato la possibilità che il social faccia male, spingendo le persone a chiudersi in loro stesse. Senza contare il discorso anagrafico: se gli utenti sono aumentati (sfondando quota due miliardi), sono sempre di più i Millennial che si allontanano dal social, che invece spopola nella fascia d’età 30-55. Insomma, gli anni passano e Facebook invecchia. E per una piattaforma digitale non è un buon segno.
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