Ozpetek, show al botteghino: «Vince la Napoli della bellezza»

Ozpetek, show al botteghino: «Vince la Napoli della bellezza»
di Titta Fiore
Domenica 31 Dicembre 2017, 09:44 - Ultimo agg. 1 Gennaio, 11:56
3 Minuti di Lettura
«Napoli velata» vola negli incassi: 750 mila euro in due giorni, con un'ottima media copie, e ieri, in città, non si trovava un biglietto. Curiosità, tanta. Discussioni appassionate all'uscita, come per un derby del cuore. Una cosa è certa: il film di Ferzan Ozpetek, con la sua carica di misteriosa e morbida sensualità, non lascia indifferenti. La storia di amore e morte che travolge Giovanna Mezzogiorno e Alessandro Borghi sullo sfondo di case meravigliose, scorci mozzafiato, atmosfere inquietanti e suggestive ha saputo entrare in sintonia con il pubblico. E non solo a Napoli. Il regista cita Marco Ferreri: «I film, senza gli altri, non esistono. E gli altri sono, come noi, autori del film». Naturalmente è contentissimo: «Vivo un bel momento, l'idea che Napoli velata riesca a lasciare un segno, a suscitare un dibattito, è la cosa che più conta, per me».
 

Qual è la chiave del successo del film, secondo lei?
«I napoletani sono contenti di vedersi rappresentati per quel che sono, senza stereotipi, nella loro normalità di cittadini di una metropoli bella e contraddittoria. Racconto il quotidiano delle persone in un modo attento, curato anche dal punto di vista estetico. E la gente è come sollevata di scrollarsi di dosso la solita narrazione fatta di luoghi comuni, nel bene e nel male».

Era un suo obiettivo?
«Ognuno racconta la propria esperienza, io Napoli l'ho conosciuta così, con la sua grande bellezza e i suoi lati più misteriosi, e così ho cercato di mostrarla agli altri».

Risultato?
«Gli stessi napoletani hanno scoperto, o riscoperto, dei luoghi della città che non conoscevano, come la magnifica scala elicoidale di Palazzo Mannajuolo».

E il resto del pubblico?
«Beh, la loro reazione è il mio orgoglio, quando mi dicono che il film gli ha fatto venire voglia di partire subito per Napoli, che sono pazzi della metropolitana dell'arte o delle scene girate al mercato del Borgo, mi sento felice come un bambino».

E anche un po' ambasciatore di una cultura.
«No, questo no, non mi permetterei mai, un'ambasciatrice ce l'abbiamo già ed è Elena Ferrante. Nel mondo il nuovo interesse per Napoli è cominciato con i suoi libri. Ed ha aiutato anche me».
 
In che senso?
«Quando, due anni fa, dicevo che avrei voluto girare questo film tutti mi sconsigliavano di mettere Napoli nel titolo, perché avrei connotato troppo la storia. Oggi tutti hanno cambiato idea, e le vendite all'estero stanno andando benissimo. È molto piaciuta anche l'idea del velo che non copre, ma scopre: segreti, bellezze e sentimenti».

L'ambiguità fa parte del genere mistery.
«E anche del fascino dei luoghi. Per questo ho lasciato volutamente in sospeso certe sfumature di senso. Napoli non si può capire fino in fondo. La devi amare e basta».

La dedica sui titoli di testa parla chiaro: a Napoli.
«Mi commuovo ogni volta che la leggo. Per me la città è come una persona. L'ultima scena, in quel vicolo deserto e bellissimo, dice tutto: Napoli è personaggio: pagana e religiosa, superstiziosa e realistica, gioiosa e struggente. La risata napoletana ha una malinconia che mi tocca il cuore, irride alla morte facendosi beffe della vita. Un'amica mi ha detto: il tuo film trasmette una passione malinconica, mi è sembrata una sintesi efficace».

La cronaca purtroppo, ci dice anche altro: che al centro di Napoli, per esempio, un ragazzo può venire accoltellato da altri ragazzi senza motivo, per una tragica, atroce bravata.
«È una cosa gravissima che può capitare ovunque, Roma, Milano o Parigi possono essere più pericolose di Napoli. Ma a Napoli tutta la città è scesa in strada a protestare, altrove probabilmente non sarebbe accaduto. Bisogna smetterla di mettere sotto accusa una comunità per fatti di delinquenza comune».

Il gomorrismo, inteso come narrazione del Male, ha delle responsabilità?
«Gomorra è una fiction di genere, non un romanzo shakespeariano, la vedo come un fumetto molto ben fatto, come se leggessi gli albi di Diabolik ed Eva Kant. Mi sembra un errore associarla a una rappresentazione realistica di Napoli. Gente come i personaggi di Gomorra io non ne ho mai incontrata, neppure nei quartieri più difficili».
© RIPRODUZIONE RISERVATA