Tajani: l'Italia deve contare di più,
il mio posto resta in Europa

Tajani: l'Italia deve contare di più, il mio posto resta in Europa
di ​Gigi Di Fiore
Mercoledì 27 Dicembre 2017, 06:37 - Ultimo agg. 18:41
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Bilancio di fine anno e prospettive per i prossimi mesi dall’osservatorio privilegiato di Strasburgo. Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, parla di politiche della Ue, ma non solo. Un’intervista-fiume per tirare le somme, a poco più di due mesi dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento italiano, sui temi principali del dibattito nell’Unione europea che influenzano il confronto politico del nostro Paese. 

Presidente Tajani, a suo parere quali problemi si trova dinanzi l’Europa con priorità rispetto ad altri? 
«Gli stessi problemi che c’erano da affrontare a inizio anno e che continuano a preoccupare i cittadini di tutta Europa e soprattutto dell’Italia. Parlo di immigrazione, terrorismo e disoccupazione giovanile».

Sul tema immigrazione, non le sembra che il governo Gentiloni sia riuscito a frenare i flussi dopo l’accordo sottoscritto con la Libia?
«Il governo Gentiloni ha fatto qualcosa, imitando quello che già aveva fatto il governo Berlusconi con gli interlocutori libici di allora. Forse, su questa iniziativa, il governo italiano si è mosso con ritardo».

Nelle ultime ore, però, sembra che i viaggi nel Mediterraneo siano ricominciati. Cosa pensa degli ultimi 225 salvataggi di migranti su gommoni diretti verso le coste italiane?
«Dimostrano che, purtroppo, la situazione politica in Libia resta sempre precaria e questo deve preoccupare. Vediamo in primavera, con condizioni climatiche migliori, cosa succederà. Probabile che possano incrementarsi di nuovo questi viaggi, considerando che i trafficanti di esseri umani ne hanno abbassato i costi. Per questo, credo che vada fatto un accordo più ampio con i Paesi di tutta l’area dell’Africa subsahariana».
 
Non crede che la missione del premier Gentiloni in Niger vada in questa direzione?

«È un primo passo, forse. C’è bisogno di una strategia europea unitaria nei confronti dei Paesi dell’Africa nell’area Sahel da cui partono i flussi migratori. Occorre un piano Marshall europeo a favore di quei Paesi».

Significa una serie di investimenti con interventi economico-sociali a favore di quelle aree?
«Sì, almeno 40 miliardi per attuare una precisa strategia politica in Africa, che riesca a tutelare anche gli interessi generali dell’Europa. In questa prospettiva, se il ruolo dell’Italia diventa da protagonista sarà sicuramente una cosa positiva».

Questi investimenti e gli aiuti nel Sahel potranno bastare in una politica incisiva sull’immigrazione?
«Vanno accompagnati da accordi con quei Paesi, per frenare all’origine i flussi migratori».

Restano, sempre restando su questo tema, ancora d’attualità gli ostacoli alla ridistribuzione degli immigrati in tutti i Paesi europei. È una difficoltà insormontabile?
«È stata più volte evidenziata la necessità che i migranti siano accolti e ospitati in maniera equilibrata in tutti i Paesi aderenti all’Unione europea. Spero che questa necessità diventi accordo operativo, come spero che prima o poi venga rivisto l’accordo di Dublino del 2013, che assegna al Paese del primo approdo, come l’Italia, la competenza a decidere sull’asilo di un presunto rifugiato politico, escludendo la possibilità che la domanda sia presentata successivamente in altri Stati dove il migrante possa poi decidere di spostarsi».

Sulla redistribuzione, al centro di continui contrasti nell’Ue, si arriverà mai ad un accordo operativo concreto?
«È in piedi una proposta della Commissione europea approvata dal Parlamento. A questo punto, il Consiglio può votare questo documento anche a maggioranza qualificata. Lo spirito di solidarietà europea va dimostrato anche in questo modo, non solo a chiacchiere. Certo, l’accordo di Dublino fa da ostacolo formale alla redistribuzione e va, per questo, modificato»

Quale dovrà essere il principale obiettivo in Europa del governo che si formerà dopo i risultati del voto del marzo prossimo?
«A mio parere, dovrà considerare traguardo prioritario ottenere un ruolo finalmente da protagonista in Europa.
L’Italia deve puntare i piedi e contare di più, per avere voce in capitolo con Germania, Francia e Spagna nella soluzione dei problemi di cui abbiamo parlato. Credo sia la grande sfida che avrà davanti il prossimo governo italiano. Ripeto: l’Italia deve contare di più in Europa».


Nel 2019, si voterà di nuovo per il Parlamento europeo. Che riforme pensa siano necessarie in vista di questa scadenza?
«Credo non si possa più fare a meno di mettere mano ad una modifica della legge elettorale europea. I collegi attuali, così come il sistema delle preferenze, vanno modificati. Solo in questo modo, credo si potrà coinvolgere l’interesse degli elettori e riportarli alle urne per votare i rappresentanti in Europa. A Strasburgo e Bruxelles, la politica deve riappropriarsi del suo ruolo, che sembra sia stato spogliato progressivamente dall’invadenza della burocrazia e della tecnocrazia».

Crede, dal ragionamento che ha appena seguito, che l’Europa abbia bisogno di più leader politici?
«Sicuramente l’Europa ha bisogno di politici con visioni più ampie, per seguire una strategia territoriale che si allarghi dall’est al sud del continente. È importante l’utilizzo più razionale dei fondi europei. Non bisogna dimenticare che il Mediterraneo è sempre di più una grande opportunità economica per l’Europa e per il Mezzogiorno italiano».

Le trattative con la Gran Bretagna per la Brexit sono finalmente arrivate ad una svolta positiva?
«Il primo obiettivo è stato raggiunto, con la firma degli accordi quadro per tutelare i 3 milioni e mezzo di cittadini europei che vivono in Gran Bretagna, tra cui 600mila italiani. Poi, c’è l’intesa sulle frontiere con l’Irlanda del nord e quella sui costi che gli inglesi dovranno affrontare per l’uscita dall’Ue. Insomma, nei due anni di transizione che restano sono convinto che si potranno raggiungere le intese su tutti i 96 punti del trattato. Su quest’obiettivo, sono uniti tutti i 27 Paesi dell’Unione europea».

È tutto semplice, allora, non resta alcun ostacolo al trattato?
«Non sarà facile, il cammino ha ancora diversi mesi davanti. L’importante, però, credo sia non mollare per riuscire a raggiungere un’intesa soddisfacente per tutti».

In questa fase di avvio della campagna elettorale italiana, non ha notato scarsa presenza di accenni all’Europa?
«Occorre invece molta Europa, per far contare nella Ue sempre più l’Italia, che è tra i Paesi fondatori. Con il governo Berlusconi l’Italia aveva più peso in Europa e al leader di Forza Italia non gliel’hanno perdonato».

Che cosa significa per lei contare di più in Europa?
«Far valere un ruolo incisivo con i Paesi che hanno più forza negli equilibri dell’Unione europea. Mi riferisco, naturalmente, a Germania, Francia e Spagna. Un obiettivo che si raggiunge con il prestigio e l’autorevolezza del governo, ma anche con il peso economico che ci deriva anche dall’essere tra i maggiori contribuenti del bilancio europeo».

Il 4 marzo si andrà alle urne per il rinnovamento del Parlamento italiano. Si candiderà?
«Non mi candido per il Parlamento italiano. Sto bene nel mio ruolo attuale. Arriverò fino al termine della legislatura europea».

Eppure, più volte Silvio Berlusconi ha fatto il suo nome come possibile candidato alla guida di un eventuale nuovo governo di coalizione del centrodestra.
«Ringrazio Berlusconi per la stima che manifesta nei miei confronti, ma resto sempre convinto a continuare nel mio impegno in Europa».
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