Il cardinale Parolin: «Ius soli, bene lo stop, il Paese è già lacerato»

Parolin (ansa)
Parolin (ansa)
Sabato 23 Dicembre 2017, 00:00 - Ultimo agg. 14:22
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Mentre a Pratica di Mare atterravano con un volo militare i primi 160 migranti provenienti dalla Libia grazie all’Intesa fra Italia, Onu e Cei che ha permesso per la prima volta un corridoio umanitario libico verso l’Europa, e mentre in Parlamento echeggiavano gli ultimi accesi appelli pro Ius soli, il cardinale Pietro Parolin, al Ceis per la messa natalizia (presente il Sindaco Virginia Raggi), commentava con una buona dose di concretezza lo stop di una delle leggi più care al mondo cattolico.

Deluso?
«Si pensava potesse essere approvata ma ci sono state troppe reazioni negative. E’ apparsa come una legge controversa suscitando risposte diverse da parte di tanti settori dell’opinione pubblica e della gente. Davanti ad un quadro del genere occorre avere il tempo necessario per maturare, per convincere, in modo tale che il passo successivo lo si possa fare ma con il maggiore consenso possibile». 

Più prudente aspettare?
«Naturalmente i tempi della politica non li so, non li conosco e non posso prevedere. Penso che sia meglio che queste cose abbiano lo spazio temporale per maturare a livello di coscienza e mentalità, affinché non siano fonte di conflitto e di lacerazione dentro il Paese. Non si tratta di un aspetto secondario visto che, per tanti versi, il Paese è già piuttosto lacerato. Il tema dello Ius Soli è delicato e importante; deve essere motivo di crescita comune». 

Perché in tema di immigrazione la Santa Sede ha posto l’accento sull’ integrazione?
«Rimane molto saggia la posizione della Santa Sede espressa dal Papa: alla base c’è una doverosa apertura di cuore verso gli stranieri. Si tratta dello spirito del Vangelo e quindi su questo punto il problema non si pone nemmeno. Quello che si aggiunge riguarda la complicata traduzione operativa di questo principio che dovrà necessariamente tenere conto di tanti elementi e del quadro generale. Spetta alla sapienza di chi governa armonizzare i vari aspetti. E’ l’ars politica che deve farsi carico della traduzione fattiva».

Cosa è cambiato?
«Il Vangelo è fisso alla base. Forse ad un certo punto si è preso coscienza che davanti ai problemi che l’immigrazione suscitava, alle difficoltà che emergevano, alle paure crescenti della gente che manifestava in tanti modi, si è riflettuto su come affrontare il nuovo quadro. L’apertura allo straniero è una posizione saggia così come la traduzione operativa che ne deve scaturire. Credo che questa traduzione operativa debba essere fatta tra tutte le istanze; una delle condizioni per risolvere il problema migratorio è riuscire a farlo in modo umano, rispettoso dei volti delle persone, delle loro storie, della loro dignità e dei loro diritti. Ecco perché mi piacerebbe che il tema fosse affrontato assieme e non fosse mai manipolato a fini politici». 

Si avvicina la campagna elettorale e l’argomento rischia di essere strumentalizzato...
«E’ un rischio che dobbiamo evitare a tutti i costi. E’ un appello che lancio. Non si gioca sulla pelle della gente, le cose vanno affrontate con serietà, ma senza cercare di tirarle dalla propria parte». 

La spaventa la crescita dei partiti xenofobi in Europa?
«E’ preoccupante, esprime un aumento del rifiuto dell’altro, del prossimo». Parolin si ferma un secondo. Davanti a lui c’è il grande presepe dei ragazzi del Ceis. «Se penso alla espressione della mentalità xenofoba e a questa cultura (perché sta diventando veramente una cultura) non può che essere fonte di tanta, tanta preoccupazione». 

Quest’anno ci sono due alberi di Natale simbolici a Roma, da una parte c’è Rigoglio, il bellissimo abete a san Pietro, mentre a piazza Venezia c’è Spelacchio, ormai morto e divenuto specchio di un generale decadimento. Qui al Ceis è presente anche la sindaca Raggi le dirà qualcosa?
Parolin ride di gusto. «Anche l’albero che è nel mio ufficio (arrivato dalla Polonia assieme a Rigoglio ndr) è un po’ Spelacchio, tanto che secondo me non arriverà al Natale. È piuttosto malmesso.

Battute a parte non vogliamo vedere significati reconditi. Certo che anche Roma ha bisogno di una spinta e un impulso per ritrovare l’altezza della sua vocazione nazionale e internazionale». 

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