Napoli, la mamma del liceale accoltellato: «Nostro figlio ridotto in fin di vita, una preda nelle mani di baby boss»

Napoli, la mamma del liceale accoltellato: «Nostro figlio ridotto in fin di vita, una preda nelle mani di baby boss»
di Maria Chiara Aulisio
Mercoledì 20 Dicembre 2017, 00:03 - Ultimo agg. 22:58
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L’ultimo colpo glielo hanno inferto alla gola, doveva essere quello mortale che avrebbe portato via la vita a un ragazzino di diciassette anni colpevole solo di essere finito nel mirino di quattro delinquenti, quasi certamente minorenni, a caccia di emozioni forti in un freddo pomeriggio a pochi giorni dalle feste di Natale. Una aggressione feroce, senza pietà e a volto scoperto: venti coltellate sferrate in tre, quattro minuti al massimo, sotto lo sguardo attonito di decine di passanti, poco dopo le cinque, in pieno giorno e in pieno shopping, tra piazza Cavour e via Foria, a due passi dalla caserma Garibaldi: «Ero a casa, bussa il mio cellulare. La voce di uno sconosciuto mi racconta che è accaduto qualcosa a mio figlio, “niente di grave”, anzi mi invita a stare tranquilla ma mi sollecita a raggiungerlo quanto prima». Una decina di minuti bastano alla mamma di Arturo per arrivare nella zona che l’uomo le aveva indicato: «Era a due passi da casa, ci ho messo pochissimo ma mentre camminavo continuavo a chiedermi che cosa potesse essere successo: Arturo era uscito da mezz’ora, a piedi, doveva solo andare a ritirare un certificato per il fratello dal medico di base, sarebbe tornato di lì a poco per rimettersi a studiare. Tutto qui».

Invece no. Dal medico il ragazzino non ci è mai arrivato perché lungo la strada ha avuto la sfortuna di imbattersi in una baby gang armata di coltelli in cerca di qualcuno su cui sfogare una violenza assurda e ingiustificata: «La prima cosa che ho visto sono stati i lampeggianti delle macchine della polizia. E poi gente che andava e veniva. Mi sono fatta largo tra la folla sperando di incontrare mio figlio: Arturo invece era a terra, in un lago di sangue e con una mano si stringeva il collo come a cercare di bloccare l’emorragia. Nei pochi minuti di lucidità prima di perdere conoscenza è riuscito solo a dirmi che era stato provocato e aggredito senza ragione da quattro ragazzini più piccoli di lui. Poi è arrivata l’ambulanza e lo hanno portato via».
 


Una scena agghiacciante che quella donna non dimenticherà mai più. «Una storia da arancia meccanica», la definisce: «Mi è sembrato di vivere Gomorra sulla mia pelle. Mi mancano le parole per descrivere quello che ho provato quando ho visto mio figlio ferito e insanguinato. No, non dovrebbe accadere mai a nessuno. E allora voglio lanciare un appello: sappiate che in giro ci sono quattro bestie criminali che potrebbero sgozzare chiunque. Bisogna fermarli a tutti i costi. Vi prego fatelo prima che sia troppo tardi altrimenti avrò difficoltà a continuare a credere nella giustizia e nella legalità. Così come ho sempre insegnato anche a mio figlio». 

Diciassette anni, studente al quarto anno in uno dei licei scientifici più prestigiosi del centro storico, bravo a scuola, affezionato alla famiglia e senza grilli per la testa. Non beve, non fuma, niente baretti o altri luoghi frequentati dalla movida serale, di droghe poi manco a parlarne. «Arturo studia molto e il sabato pomeriggio esce solo i compagni di scuola che sono stati qui con me al pronto soccorso fino a quando non hanno saputo che ce l’avrebbe fatta». Parla con grande compostezza, la mamma, professionista come il papà del ragazzo, un «bravo ragazzo». Chiusa nel suo dolore prova a trattenere l’emozione ma non è facile quando tuo figlio è ancora in prognosi riservata, colpito da venti coltellate e vivo per miracolo: «Non dormo da due giorni. E non mi muovo da qui. Quando i medici l’altra sera hanno chiuso la porta della rianimazione dopo avermi fatto firmare ogni tipo di autorizzazione, mi hanno detto “signora, facciamo il possibile, speriamo bene”. Adesso mi sembra un sogno che Arturo sia ancora vivo».
 

Venti colpi di coltello di cui quattro che sarebbero potuti essere mortali: al polmone, alla gola, al fianco e alla schiena. L’ultimo fendente si è fermato a soli due millimetri dalla carotide: «Un’idea ce l’ho. Mio figlio è rimasto vittima di una prova di forza da parte di quei delinquenti. E lo dimostra l’efferatezza assoluta con la quale si è consumata l’aggressione. È come se si fosse trattato di una esecuzione legata a una dimostrazione di coraggio nei confronti di qualche gruppo criminale». Un segnale, insomma. Secondo la donna un messaggio da fare arrivare dritto a chi di dovere per guadagnarsi stima e rispetto. Come a dire: siamo piccoli ma in grado di ammazzare un innocente solo per il gusto di farlo, senza una ragione e senza un obiettivo.

Nessun tentativo di rapina, il giovane Arturo disponeva di un cellulare di ultima generazione e anche di un po’ di soldi che non sono stati toccati. Men che meno la voglia di litigare o di rispondere a inutili provocazioni rispetto alle quali, il ragazzo, per indole e per educazione, mai e poi mai avrebbe prestato il fianco. 

«E allora? Quale spiegazione c’è? Ne sono convinta, mio figlio è rimasto vittima di un attacco dimostrativo.
Ha avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato e ha pagato per questo. Hanno cominciato a provocarlo sperando che reagisse. Il loro obiettivo era ammazzarlo e consegnare la sua vita nelle mani di chissà quale boss per acquisire credito e potere. Sì, proprio come nel racconto di Roberto Saviano. Fa male ma è così». Gli hanno reciso la giuculare a metà, la lama gli ha distrutto l’arteria, il chirurgo che l’ha operato ha potuto solo «annodarla»: «Lo hanno già operato due volte, probabilmente dovranno farlo anche una terza. In ogni caso avrà problemi neurologici che si porterà dietro tutta la vita. Le coltellate gli hanno provocato anche il collasso di un polmone, adesso ha un drenaggio: i medici stanno facendo il possibile per fare rientrare l’emergenza con la speranza che nessuna delle tante ferite che si ritrova sul corpo faccia infezione. Il pericolo di vita sembra essere scongiurato ma siamo ancora in una fase ad alto rischio. Per fortuna non è più intubato e respira da solo anche se continua ad avere bisogno dell’ossigeno. E così sarà anche nei prossimi giorni. Se questa non è Gomorra». 

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