Profughi al lavoro, ecco il piano di Minniti: «E nelle moschee solo prediche in italiano»

Profughi al lavoro, ecco il piano di Minniti: «E nelle moschee solo prediche in italiano»
di Giuseppe Crimaldi
Martedì 19 Dicembre 2017, 09:49 - Ultimo agg. 18:39
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«Un'idea straordinaria che mette in relazione l'accoglienza con la possibilità di colmare il tempo e il vuoto dell'attesa per chi richiede asilo in Italia. Non voglio esagerare, ma credo che in tutto il resto d'Europa non ci siano iniziative di questo genere». Dopo essersi pazientemente (e sorridentemente) concesso a qualcosa come oltre un centinaio di selfie scattati dai sindaci campani, Marco Minniti accetta di rispondere a chi gli chiede quale sia il significato di una precisa scelta politica: utilizzare nelle attività socialmente utili i migranti non respinti, e dunque richiedenti asilo in Italia. La sperimentazione inizia in Campania: e a Pompei e nella Reggia di Caserta, tra non molto, potremo vedere impiegati gli extracomunitari.
 


Qual è l'idea di fondo contenuta nel protocollo d'intesa sottoscritto dai 265 sindaci campani?
«Cancellare la parola emergenza, sapendo che non c'è una ricetta magica per risolvere il problema. Davanti ad un fenomeno così strutturale l'Italia deve avere l'ambizione di non subìre gli eventi: se ogni Comune accoglie i richiedenti asilo, allora noi potremo superare già nei prossimi mesi tutti i grandi centri di accoglienza. Perché anche quando sono gestiti nel miglior modo possibile non producono integrazione. Se si riesce a separare coloro che hanno diritto alla protezione internazionale dagli altri, cambiamo il modello di immigrazione senza erigere muri ma solo mettendo in campo una visione comune».

Funzionerà?
«Se dovesse funzionare, questo percorso aprirebbe una strada molto importante: destinare i richiedenti asilo verso lavori socialmente utili. Il che significa farli convergere all'interno di settori di eccellenza; ciò produrrebbe anche un risultato in termini di integrazione lavorativa: perché chi lavorerà nella Reggia di Caserta o all'interno degli Scavi di Pompei si formerà grazie al contatto con personale particolarmente qualificato».

Si comincia da Pompei e Caserta. Poi che succede?
«L'esperimento pilota può diventare un modello di percorso lavorativo e di integrazione. Ed è chiaro che - essendo il settore turistico italiano particolarmente ricco di perle - oggi siamo partiti dalle prime due, ma se dovesse andar bene di perle da mettere nel filare ne abbiamo pronte tante altre. Vedo un percorso virtuoso e considero particolarmente importante l'entusiasmo che c'è tra i sindaci campani che hanno firmato il protocollo, 265 in tutto, pari al 70 per cento del totale. Un risultato straordinario».
 
Nella sua giornata napoletana c'è anche un secondo appuntamento: all'Università Federico II, con una rappresentanza dei giovani della Comunità islamica.
«Esatto. Il completamento di questo percorso riguarda il rapporto tra accoglienza e integrazione. Con giovani islamici a febbraio abbiamo firmato un patto che non trova precedenti in Europa e che afferma due grandi questioni. La prima: si affermano e si sottoscrivono i princìpi sanciti nella prima parte della Costituzione italiana: in questo modo i sottoscrittori (che rappresentano la maggior parte delle sigle che rappresentano l'Islam nel nostro Paese, ndr) affermano di voler essere musulmani e italiani. E questa è la chiave per una corretta politica di integrazione. Ma chi ha aderito ha accettato anche il secondo punto, che prevede quattro concetti importantissimi.

Quali?
«Le moschee sono luoghi pubblici e aperti al pubblico; per ogni moschea viene reso noto il nome dell'imam che vi esercita il culto; le prediche devono essere fatte in lingua italiana, e si prevede per gli stessi imam un percorso di formazione con l'Università; infine, per ogni moschea nuova che viene costruita vanno resi pubblici i finanziamenti, sia interni che internazionali. Ma la cosa più importante è ancora un'altra....».

Quale?
«L'essere arrivati ad un accordo attraverso un patto, e non con una legge che introduce una prescrizione: perché le leggi che agiscono sulla sfera religiosa rischiano di trasformarsi sempre in un terreno molto scivoloso.
Il particolare più importante di questo accordo sta dunque proprio nell'elemento pattizio, cioè nel riconoscimento reciproco. Se il patto funzionerà potremo avere un Islam italiano, che sarà un passo ulteriore verso l'integrazione e la sicurezza. Ma su alcuni princìpi bisogna essere chiari: l'Italia è un Paese laico che non impone leggi religiose e che non può tollerare il fatto che la donna sia sottomessa all'uomo. Su questi punti non negozieremo. Perché è la democrazia a non essere negoziabile».

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