Milano, addio allo scrittore Francesco Leonetti, collaboratore di Pasolini

Milano, addio allo scrittore Francesco Leonetti, collaboratore di Pasolini
Domenica 17 Dicembre 2017, 19:28 - Ultimo agg. 18 Dicembre, 18:22
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Poeta, narratore, militante politico coinvolto nei problemi della sinistra extraparlamentare, direttore di riviste (“ Che fare” , “Il campo) e perfino attore di cinema con Pier Paolo Pasolini, Francesco Leonetti è stato un interlocutore assai vivace nel dibattito letterario, sociale e politico degli ultimi sessant’anni. Nella sua autobiografia, “ La voce del corpo”, narrò un episodio drammatico, che lo costrinse a un precipitoso ricovero in ospedale (era la fine del 99) per infarto e successiva operazione by pass. Ma la condizione di malato non lo indusse a rinunziare alla figura retorica che prediligeva, l’invettiva, né all’impegno polemico. Lui stesso amava definirsi “ cattivo, intransigente, inesausto”. E ancora: “formalista, astrattista, strutturalista”. Possiamo ricordare i tre libri d’invenzione letteraria che ne riassumono il temperamento: “Fumo fuoco e dispetto ”, “Conoscenza per errore” e “Irati e sereni”. Quest’ultimo che i critici affiancarono a “Vogliamo tutto” di Nanni Balestrini, sviluppa il tema della contestazione operaia nel periodo tra la fine anni 60 e l’inizio anni 70. Ma si fece soprattutto notare per l’operazione strutturale e stilistica affiorante nelle sue pagine; per quella sorta di mix tra diario, racconto e documento che lo rendeva un testo inconsueto, ispido.

In un intermezzo composto (tipograficamente) a caratteri più marcati, Leonetti ne diede una spiegazione tutta soggettiva o biografica. Ripercorrendo l’iter è che lo aveva portato dall’esordio nei “ Gettoni” di Vittorini a un’improvvisa autocritica, dichiarò che “ Irati e sereni” era, insieme, “un romanzo pamphlet”, “ un “divertimento violento alla maniera di Rabelais” e “un sogno pieno di furore”. L’impiego di immagini fortemente ironiche- la sedia, la cassaforte- assumeva un carattere simbolico. Quelle immagini denotavano gli aspetti estremi del rapporto, all’epoca molto teso, tra padronato e operai. Marxista all’ombra della triade Lenin-Gramsci-Mao, fiancheggiatore della neoavanguardia fin dal convegno di Palermo del 1963 e redattore, con Pasolini, Roversi, Scalia e Volponi, della rivista letteraria “Officina”, Leonetti alternò la scrittura in prosa-sia pure documentaria, frammentata, politica”-alla sillabazione metrica e all’uso dell’assonanza. Il motivo centrale del suo lavoro si coagulò in ciò che chiamava “le pratiche della poesia”. Non a caso la sua tesi di laurea (a Bologna, nel 1945) aveva per argomento le rime “filosofiche” di Tommaso Campanella.

Facendo riferimento alla lettura di Gianfranco Contini, interamente costruita “sull’espressionismo” da Dante ai grandi letterati ottocenteschi (Belli e Porta) agli scapigliati agli , ai vociani, Leonetti collocò Campanella nel canone della poesia conoscitiva e gnomica in antitesi al petrarchismo e alla lirica, “ alta” dal “ lessico puro”. Marcata dall’impronta espressionistica, la scrittura di Leonetti fu essenzialmente spigolosa e anche passionale. Leonetti passava dall’assunto fulmineo alla nota in margine, dal foglio di diario al volantino ciclostilato, dallo scolio filologico all’incitamento sovversivo, dal poemetto con commento ai “ foglietti pirati”. Pungolato dalle utopie rivoluzionarie pre e post 68- Leonetti s’illuse di rovesciare la cosiddetta “ società capitalistica” bombardando la grammatica e straziando le regole sintattiche. L’irrisione dei “ “contenuti borghesi” e l’adozione di forze “sventrate, capovolte e maltrattate” lo condussero nei meandri di uno sperimentalismo intellettuale “ai margini”, che viveva la politica quasi fosse una religione e la letteratura come proiezione dell’ideologia.

Quando si rese conto delle mutazioni radicali, antropologiche e di costume in atto nella società italiana, ripensò il proprio passato ma finì anche col commemorarlo.
In una poesia cantò “I fiori intatti” conservati nelle cornici delle sue stanze.; in un’altra, “i secchi traslati” ancora splendenti sul suo tavolo. Alle tematiche politiche degli anni Sessanta si richiamano i suoi due romanzi, “Conoscenza per errore” e “L'incompleto”: il primo è l'autobiografia di una generazione che, alla fine degli anni Quaranta, vive con rabbia le passioni tra adolescenza e maturità in un paese che si avvia a una restaurazione; il secondo, condotto ora in prima ora in terza persona, è incentrato sul protagonista, un intellettuale marxista che affronta i problemi privati e pubblici propri dei suoi anni. 
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