Molestie sul luogo di lavoro:
tutele non solo per gli statali

Molestie sul luogo di lavoro: tutele non solo per gli statali
di Maria Pirro
Giovedì 7 Dicembre 2017, 18:10 - Ultimo agg. 22:43
4 Minuti di Lettura
L’onda rosa del caso Weinstein non è passata invano: una norma contro le molestie entra nel nuovo contratto per i dipendenti statali in Italia. Le discriminazioni finiscono al bando in Rai. E un emendamento alla legge di bilancio, al voto oggi in Commissione lavoro alla Camera dei deputati, vuole estendere le tutele alle vittime, anche a quelle delle aziende private.
 Il motivo è chiaro: non basta più dire alle donne di rivolgersi al giudice, il successo planetario della campagna #MeeToo, qui tradotta con l’hashtag #QuellaVoltaChe e premiata dal Time, è anche il risultato della sfiducia verso un sistema di sanzioni e protezioni ritenuto inefficace. Una svolta è necessaria, affermano i sindacati, che l’altro ieri hanno incontrato i vertici Aran per definire i provvedimenti. Con le misure introdotte nel testo sul pubblico impiego, al centro delle trattative, l’aggressore rischia il licenziamento, se recidivo e nei casi più gravi. «Ma una molestia non è mai lieve», sostiene il segretario nazionale della Cgil Fp, Salvatore Chiaramonte. «Occorre creare un ambiente normativo che incida positivamente», ribadisce il leader della Cisl Fpcon, Angelo Marinelli. E altri interventi sono caldeggiati in Parlamento. 

La deputata Titti di Salvo, vicepresidente del Pd, è prima firmataria dell’emendamento alla legge di bilancio che arriva oggi all’esame decisivo in Commissione: «L’obiettivo è innanzitutto evitare i rischi di demansionamento e licenziamento per le vittime e quindi isolare i molestatori». Paolo Pennesi, direttore nazionale dell’Ispettorato del lavoro, spiega che «si contano meno di cento casi nelle aziende su 140mila controlli all’anno». Più spesso, concorda con Di Salvo, «il problema è far emergere un fenomeno trasversale». 

I numeri sul maschilismo in ufficio oggi sono sottostimati. Secondo un’indagine Istat, nove donne su 100 hanno subito nel corso della loro vita lavorativa: registrati un milione e 403 mila abusi, dalla pacca sul sedere fino alla richiesta esplicita. Poi ci sono gli stupri, anche solo tentati: 76mila, in totale. Ma soltanto una vittima su cinque racconta la propria esperienza. Denuncia appena lo 0,5 per cento. «Facciamo fatica a intervenire perché la maggioranza poi ci dice di non andare avanti nell’azione: per paura», sostiene la consigliera nazionale di parità, Franca Bagni Cipriani. Le molestie intercettate sono addirittura la metà nel Mezzogiorno rispetto alle altre regioni. «Da tre anni lo sportello rosa, l’unico a Napoli istituito nel Policlinico Federico II, non ha un sos dai luoghi di lavoro» certifica la psicologa, referente del servizio, Elisabetta Riccardi. 

Tra le altre tutele proposte in Parlamento, la sospensione di trasferimenti punitivi e procedure disciplinari, ma anche l’allargamento dei congedi per chi subisce ricatti sessuali come per le vittime di violenze. Esistono infatti strumenti già operativi: oltre a un indennizzo, dal 2015 è previsto un periodo di permesso retribuito di tre mesi, valido sia per le dipendenti sia per quante hanno rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Una circolare Inps chiarisce l’iter e, secondo i dati riferiti dal presidente dell’ente di previdenza, risultano 159 domande (da aprile 2016 a ottobre 2017). «Il disagio psichico correlato al lavoro è sempre più diffuso tra le donne», rilancia l’allarme Giovanni Nolfe, medico dell’Asl Napoli 1 e responsabile del centro di riferimento sul mobbing e disadattamento lavorativo in Campania. Un convegno sul tema è in programma il 12 dicembre a Palazzo Serra di Cassano. «La molestia tra colleghi o capi è anche un esercizio di potere», aggiunge Nolfe. Secondo i dati Ocse, gli uomini in Italia (e non solo) guadagnano l’11,1 per cento in più: «Tendere ad affidare alle donne ruoli meno qualificati, metterle nell’angolo, considerarle anello debole è un’altra forma di sopruso, sottile e subdolo», afferma Riccardi, sollevando una questione culturale.

La Rai ora ha un vademecum per contrastare tutto questo: in tre pagine cerca di rendere riconoscibili i comportamenti che hanno «lo scopo o comunque l’effetto di violare la dignità e la libertà». Molestie gravi sono considerate quelle esercitate per fare pressione in caso di assunzione o in caso di decisioni che riguardino il futuro professionale. E quelle che hanno l’effetto di creare un ambiente di lavoro intimidatorio. Non serve ricatto o minaccia: basta che non sia gradito «anche un singolo atto isolato, non ripetuto». Su input della presidente Monica Maggioni e del direttore generale Mario Orfeo, l’onda rosa cresce. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA