Papa Francesco, cosa resta del Giubileo in Centrafrica dove dilagano sangue, caos e terrore

Papa Francesco, cosa resta del Giubileo in Centrafrica dove dilagano sangue, caos e terrore
di Franca Giansoldati
Mercoledì 6 Dicembre 2017, 10:39 - Ultimo agg. 21:39
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Bangui (Centrafrica) – L'ultima (terribile) notizia che arriva dal Centrafrica riguarda milizie armate fino ai denti che hanno attaccato un campo di rifugiati controllato dalla Minusca (caschi blu) dove vivono 35 mila poveri cristi. Il Paese è di nuovo sull'orlo del baratro. Tante ong in questi mesi hanno dovuto lasciare il campo. Pensare che 2 anni fa il Centrafrica era stata la meta scelta dal Papa per aprire il Giubileo della Misericordia; era stata studiata apposta proprio per misurare la possibilità di pacificazione. Nella basilica sgangherata di Bangui Papa Francesco, aprendo la porta santa aveva annunciato: «Vengo come apostolo di speranza». Bangui, almeno per un giorno, si era presentata come «la capitale spirituale del mondo». Quelle parole oggi, davanti al sangue che scorre, suonano come una disfatta per tutti.

Il fallimento della pace in Centrafrica è stato toccato con mano, a Bangui, due mesi fa anche dal  Segretario Generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres. Il suo arrivo era stato preceduto da alcuni massacri. Guterrez aveva chiesto di aumentare il numero dei caschi blu di 900 unità, arrivando a un totale di 12.000, per proteggere i civili, visto che la guerra civile è praticamente ripresa. Tutto questo a due anni dalla missione di pace intrapresa da Papa Bergoglio in uno dei Paesi più poveri del mondo, devastato da un conflitto intestino dove cause economiche, tribali e religiose si mescolano. Cristiani contro musulmani, anche se la religione è solo un paravento.

Il Giubileo voluto dal Papa iniziava in uno dei luoghi più infernali del pianeta, dove, in questi anni, sono stati commessi crimini di guerra e contro l’umanità, mutilazioni di cadaveri, rapimenti, reclutamento di bambini soldato, sfollamento forzato della popolazione. Forze Seleka, a maggioranza musulmana, contro gruppi anti-Balaka (anti machete), cristiani. A questo si aggiunge che i caschi blu dell’Onu erano stati accusati da diverse ong di gravi crimini, soprattutto stupri sistematici e di avere gravi responsabilità nelle stragi in diversi villaggi. Del Giubileo della Misericordia - iniziato in Africa e non a Roma per dare un segno al mondo - è rimasto ben poco. Basti pensare che nel luglio scorso due uomini armati hanno fatto irruzione in un ospedale dove si erano rifugiate 7 mila persone sfollate per sfuggire ai combattimenti diffusi. I due miliziani hanno strappato un neonato alla mamma, lo hanno lanciato in aria e in un colpo secco gli hanno mozzato la testa. Le crudeltà diffuse sono all’ordine del giorno. Medecine Sans Frontieres ha riferito: «Quel bambino è stato ucciso in una struttura sanitaria. La brutalità dell’attacco dimostra il carattere inquietante di questa escalation di violenza contro i civili». Ciò che viene denunciato da più parti è la mancanza totale di rispetto da parte di diversi gruppi armati, sia nella capitale che nelle altre zone del Centrafrica. Un Paese ricchissimo di oro, diamanti, uranio e petrolio e, forse è per queste risorse, spiega il cardinale Nzapalainga, che «il territorio fa tanta gola».

Con i diamanti vengono finanziate le armi ai gruppi militari. Da quello che raccontano i missionari è il caos. Ormai un centrafricano su due dipende dagli aiuti che arrivano dalle ong presenti sul territorio, soprattutto francesi. Ma la situazione si sta talmente consumando che molte di loro hanno sospeso l’attività umanitaria. Si calcola che vi siano circa 1 milione e 100 mila sfollati, la metà dei quali rifugiatisi nei paesi confinanti. Il cammino per la pace è ancora lungo. Chissà quando sarà possibile arrivare a un reale cessate il fuoco. Sei mesi fa Sant’Egidio aveva annunciato urbi et orbi di essere riuscita a mettere a un tavolo le parti e fare firmare un accordo, ma quel passaggio era solo un abbaglio: venne subito screditato dagli stessi vescovi che lo definirono fallimentare e contraddittorio. L’intesa trovava, invece, l’appoggio dei rappresentanti di alcuni gruppi armati che si contrappongono al governo del presidente Touadéra. Il giudizio dei vescovi e del cardinale era stato sostanzialmente negativo per la scelta degli interlocutori e «per l'atteggiamento dei mediatori troppo remissivo nei confronti dei gruppi ribelli che si sono macchiati di crimini indicibili». I combattenti non hanno deposto le armi nemmeno quando nel 2014, su pressione internazionale, il leader Seleka Michel Djotodia ha lasciato la carica conquistata con la forza. Gli scontri sono continuati con conseguenze drammatiche mentre Seleka e anti-Balaka si frantumavano in decine di gruppi: oltre alle numerose vittime, oggi si contano più di un milione tra sfollati e rifugiati, su 4,5 milioni di abitanti. Una disfatta per tutti.

 
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