Biotestamento, il cardinale Bassetti:
«La dignità umana resti il faro»

Biotestamento, il cardinale Bassetti: «La dignità umana resti il faro»
di Corrado Castiglione
Mercoledì 6 Dicembre 2017, 07:50 - Ultimo agg. 10:13
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Oratori e lavoro per ridare speranza ai giovani e al Mezzogiorno. Ha le idee chiare il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, da sei mesi al vertice dei Vescovi italiani, in queste ore approdato per la prima volta in Campania - a Ischia - per celebrare messa a Casamicciola accanto alla popolazione colpita dal sisma del 21 agosto. E al «Mattino» ribadisce che la dignità della persona umana deve restare sempre il faro dell’agire politico. Una puntualizzazione importante nel giorno in cui il Parlamento decide l’accelerazione per il biotestamento, seppure a riguardo il cardinale preferisca non replicare rinviando le proprie riflessioni ad una nota che sarà diffusa nelle prossime ore. I paletti della Chiesa universale sono noti: il Papa ha già ribadito il no alle cure non proporzionali, che a sua volta non può essere un sì all’eutanasia.

Eminenza, lei approda per la prima volta nella terra campana dove più volte - nelle visite degli ultimi papi, da Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI a Francesco - è emersa chiara e forte la necessità di organizzare la speranza. Intanto dal ‘90 a oggi nuove povertà si sono aggiunte alle vecchie e anche la questione meridionale sembra la spia di un disagio più grande che coinvolge il sud e il nord del mondo. Quali sono a suo avviso i motivi di speranza?
«Sono convinto che bisogna aprire il cuore alla speranza. È vero che in questi anni - anche nel Mezzogiorno - a disagi cronici se ne sono aggiunti altri, legati alla grande crisi economica e ai flussi migratori, ma credo sia necessario andare oltre, a beneficio della tutela della persona umana in tutte le sue espressioni. Non ci si può prendere cura dei poveri per poi dimenticarsi del valore della vita, così come non si può essere paladini della vita e dimenticarsi dei migranti. D’altronde, di converso, chiudere il cuore alla speranza aprirebbe il campo alla paura, alla paralisi, alla chiusura nei confronti dell’altro».

Crede che la Chiesa sia pronta ad affrontare le nuove sfide?
«Non c’è dubbio e la dignità della persona umana resta come sempre il faro dell’azione sociale e politica dei cattolici. Insieme a poche parole fondamentali: lavoro, povertà, integrazione, vita».

Spesso nelle sue parole lei fa riferimento al modello di “agire” di Giorgio La Pira. Secondo lei, qual è il ruolo dei laici cattolici nel Sud in questo tempo?
«Una società a misura umana non può prescindere dalla difesa dei valori dell’uomo, che sono sempre gli stessi e che sono irrinunciabili. La Pira amava dire: “il pane e la grazia”. Lui era un cristiano e credeva nel Vangelo. Dunque attraverso quelle parole si riferiva ad un caleidoscopio di valori. Il pane comporta certo il pane, ma anche la casa, l’istruzione, la salute, comporta il lavoro, soprattutto il lavoro. Perché senza occupazione una persona perde di dignità. Ecco: tutti questi fattori che costituiscono la vita umana sono necessari. Ma da soli non bastano. Serve anche - sottolineava La Pira - la cura per la dimensione trascendente, perché l’uomo è creato da Dio e quindi esiste anche un aspetto fondamentale che va al di là delle necessità immediate. Detto questo, ribadisco: le necessità immediate devono essere tutte prese in considerazione».

Nel Sud, come nell’intero Paese, in questi anni è venuto via via meno il tessuto capillare dei partiti tradizionali, mentre le associazioni e i movimenti pre-politici hanno ceduto il passo alla protesta “liquida”, e in campo si sono gradualmente rafforzati i populismi. Come se ne esce?
«Mi ripeto: l’uomo deve tornare al centro dell’attenzione di chi opera per il bene comune. Da una parte c’è il nodo dei populismi, che effettivamente sono molto pericolosi. Dall’altra c’è la realtà dei partiti, ormai frantumata e nella quale è sempre più difficile ricucire. In questo quadro i punti di unità si possono trovare proprio intorno ai valori irrinunciabili. Penso alla persona umana, alla vita dell’uomo, alla famiglia, al lavoro».
 
Crede che la legge sul biotestamento si muova in questa direzione?

«Su questo tema affiderò il mio pensiero ad una nota ufficiale». 

Lei prima parlava di lavoro. Quale deve essere l’obiettivo?
«Il lavoro dev’essere libero, solidale, sia rispettoso dell’uomo, così come appunto ci siamo detti con chiarezza a Cagliari durante le Settimane Sociali. Sono tutti questi valori irrinunciabili che fanno la Politica con la P maiuscola, quella politica per la quale diceva Paolo VI vale la pena impegnarsi fino in fondo perché è il punto più alto della carità. E davvero sia benedetto da Dio e dagli uomini chi ha il coraggio di mettersi nella politica con questa prospettiva e con questi valori».

Nel Mezzogiorno però è più difficile tutto questo: nonostante le affermazioni di principio l’illegalità resta dilagante e il rinnovamento etico appare opera titanica.
«Lo sappiamo bene: perciò prima parlavo di lavoro giusto e solidale. Conosciamo tutti la storia dei caporalati. Per questo ribadisco: l’uomo deve essere libero di poter lavorare, di fare le sue scelte. Perché il lavoro non è soltanto un fatto economico, il lavoro non è soltanto qualcosa che riguarda la sfera dell’attività umana, ma - in una visione più ampia - è una vocazione e una missione, e un servizio sempre, anche alla comunità. Senza tutti questi valori, il lavoro sarebbe un lavoro da schiavo. Mentre il lavoro può contribuire a nobilitare la persona umana. Senza lavoro la persona umana non si può esprimere».

Come si può tarare nelle chiese locali del Mezzogiorno la pastorale della Chiesa italiana di questo inizio di millennio?
«In questi anni la Chiesa italiana ha messo in campo delle iniziative molto belle. Penso al progetto Policoro, che ha visto protagoniste 750 coooperative costituite sui terreni sequestrati alla mafia a suo tempo e che si sono sviluppate. Ma penso anche ai nostri oratori. Ecco - noi nell’Italia centrale ne abbiamo diversi, nell’Italia del nord ancora di più - devono anche diventare laboratori perché i giovani possano addestrarsi alla cultura del lavoro e della solidarietà. Il problema è che i ragazzi oggi hanno la necessità di imparare un mestiere, perché spesso sono sprovveduti anche nell’iniziare un lavoro. Ci vuole una maggiore sinergia tra scuola e laboratori di addestramento al lavoro in modo che anche questo possa essere un incentivo ad abbattere un po’ il muro della disoccupazione. Ma tutto all’insegna della speranza, perché senza speranza c’è soltanto la paura».

Lei torna su questo tema con preoccupazione: vuol dire che in giro avverte molti segnali di paura?
«È quello che dicevo all’inizio: in questo tempo la gente tende a chiudersi, tende ad avere paura. Ma la paura paralizza, ti impedisce di pensare. E allora bisogna aprire il cuore alla speranza. La speranza toglie la paura e ti dà la fiducia per andare avanti. Però io sono certo che con la buona volontà di tante persone possiamo dare ancora un avvenire ai nostri giovani».
 
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