Caso molestie, Barbara Alberti:
«Il vero orgasmo è il potere»

Caso molestie, Barbara Alberti: «Il vero orgasmo è il potere»
di Donatella Trotta
Martedì 14 Novembre 2017, 11:13 - Ultimo agg. 12:04
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Da Hollywood all'Italia, da Harvey Weinstein a Fausto Brizzi (passando per Kevin Spacey) l'ondata di outing di massa sullo scandalo molestie sessuali dilaga nel mainstream comunicativo. E lo tsunami (anche emulativo) travolge lo star system rischiando tuttavia, ammonisce Barbara Alberti, «di ridurre tutto solo a una grande vomitata di odio dai social, che non cambierà però di una virgola la seria questione del rispetto concreto dovuto alle donne, e agli uomini, tout court» commenta la scrittrice, sceneggiatrice, drammaturga, giornalista, conduttrice radiotelevisiva e opinionista di origini umbre e residenza romana, nota per il lucido e tagliente anticonformismo delle sue posizioni in fatto di donne, uomini e relazioni. Sentimentali e sessuali.

Non le sembra che questa inarrestabile reazione a catena dissimuli lo smascheramento di una ipocrisia collettiva sui rapporti tra sesso e potere?
«Certo. Da un lato trovo che sia un bene che tutte queste cose siano uscite fuori, con un'alluvione dolorosa ma necessaria, perché è importante che le donne denuncino le molestie subìte, di qualunque genere esse siano; d'altro canto, trovo pure che sono tutte vicende di antiquariato: nel senso che sarebbe molto più utile ed opportuno che si impari a denunciare subito la violenza, tentata o realizzata che sia. Quanto all'ipocrisia, prenda il caso di Kevin Spacey: tutti sapevano tutto, ma ora fanno vedere che si scandalizzano e lo rimuovono facendo girare scene ad un altro attore. Che pagliacciata: un trionfo di sepolcri imbiancati».

Ma perché secondo lei si sta scoperchiando con ritardo il malcostume di questo vaso di Pandora, per alcuni scontato? Paura? Sottomissione? Conformismo?
«Nel caso delle attrici di Hollywood, ma anche del nostro Paese, ci si trova chiaramente di fronte a un doppio ricatto: prima, al momento dei soprusi, c'è la minaccia di non lavorare se non sottostando al pedaggio sessuale; dopo, quando si decide di parlare, si rischia di finire alla gogna incombente di essere additata come una poco di buono. In entrambi i casi, di fatto sono sempre le vittime (in genere donne) a rimetterci. Lo dimostra quanto è successo ad Asia Argento. Altro che conquiste del femminismo: la mentalità dominante non cambia, dai tempi del delitto d'onore che è stato abolito, ma solo per finta. Basti pensare alle pene ridicole che infliggono a chi non soltanto stupra, ma addirittura ammazza le donne. Non vi è certezza della pena, né coraggio nel perseguire i crimini: il caso di Ostia, con l'arresto di Spada 48 ore dopo la flagranza, ne è un esempio. Poveri noi, che viviamo in un Paese a misura di delinquenti».

E il caso Brizzi come lo ha vissuto, lei che è molto addentro al mondo del cinema?
«Devo dire non lo conosco bene, ma mi impressiona la modalità con cui si sta trattando questo caso, a prescindere dalla verità dei fatti: mi sconvolge che si sia scatenato un inquietante e volgare gioco mediatico e di società, una sorta di processo prima del processo, a partire da una denuncia peraltro anonima che lascia spazio a una sporca partita tra detrattori e difensori che mi indigna: come l'ipocrisia del produttore americano di togliere il suo nome dal film. Stiamo attenti alle strumentalizzazioni: non vorrei che per difendere un diritto se ne stiano calpestando parecchi altri. Il problema è annidato nel folle, e trasversale, sistema di potere che governa le relazioni tra esseri umani dove ciascuno, in qualunque campo, approfitta del suo piccolo o grande ruolo per esercitare una violenza che può anche non essere sessuale, come il mobbing negli ambienti lavorativi».

Un sistema nel quale il sesso gioca comunque un ruolo cruciale, e tutt'altro che pacificato nel rapporto tra uomini e donne: con l'aggravante che la violenza, almeno nella sua accezione giuridica, è legata alla scivolosa percezione (e interpretazione) soggettiva dell'aggettivo consensuale
«Il vero orgasmo è il potere. Penso anche che noi donne dobbiamo ancora pagare il fatto di essere uguali di fronte alla legge, che non ci venga perdonato di lavorare e guadagnare, spesso, anche più degli uomini. Le faccio un esempio concreto, personale: in tutta la mia lunga vita professionale, è capitato anche a me di essere molestata. Avevo 27 anni, e volevo pubblicare il mio primo libro, Memorie malvage (1976), insignito del premio L'inedito. Mi rivolsi a un famosissimo scrittore, molto potente nel mondo editoriale, di cui non voglio fare il nome perché è morto. Lui mi telefonò dicendo che aveva trovato geniale il mio libro - un racconto dell'Italia bigotta degli anni '50 vista con gli occhi di una bambina tra miracoli, sortilegi e durezze contadine e che voleva conoscermi. Andai al suo studio, e mi saltò subito, letteralmente, addosso».

 


E lei come reagì?
«Mi sentii offesa, ferita, ma mi montò dentro un'enorme rabbia che mi spinse a reagire con violenza: nonostante fosse grande e grosso, mi difesi a suon di botte. E nello scontro fisico, pur beccandomi qualche colpo anch'io, ebbi la meglio. La cosa non ha lasciato alcuna traccia in me, che ovviamente pubblicai con successo altrove. Ma poi ho scoperto che la stessa dinamica era avvenuta con altre tre ragazze: una segretaria, una scrittrice e una laureanda che stava per laurearsi con una tesi su di lui. Allora ho pensato che era proprio un poveretto, e che forse più che i nostri corpi voleva le botte. Al principio, io lo sputtanai ovunque, e da allora mi temeva e rifuggiva. Ma vent'anni dopo gli scrissi una lettera aperta sul Corriere della Sera in cui addirittura lo graziavo, con magnanimità: tranquillo, le Eumenidi son passate, gli dicevo, e le Erinni si allontanano».
L'arma dell'ironia dissacrante: ma non tutti hanno questa forza, nei rapporti di potere.
«Già. Per questo invito le ragazze di oggi a praticare non la danza, ma le arti marziali, l'unica cosa che può colmare il gap fisico con certi maschi, che sono in fondo dei vigliacchi. E invidiosi di noi donne, che non subiamo i vincoli (e in complessi) del fallocentrismo. Ma questa libertà non ci viene perdonata».
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