Caos salvataggi e profughi morti, l'Italia accusa la Marina libica

Caos salvataggi e profughi morti, l'Italia accusa la Marina libica
di Valentino Di Giacomo
Sabato 11 Novembre 2017, 10:02 - Ultimo agg. 20:20
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«L'operazione di salvataggio dei migranti naufragati lo scorso lunedì spettava alla ong tedesca e non alla Marina libica». Lo spiega al Mattino la Guardia costiera italiana che coordina i salvataggi in mare dei barconi nelle acque del Mediterraneo. Ma l'assenza di coordinamento tra le autorità italiane e la scarsa disponibilità a seguire le regole sia da parte della Marina libica che della ong Sea Watch ha probabilmente causato il drammatico bilancio di morti. Cinque le vittime accertate, tra cui un bambino di appena due anni, oltre ad un numero imprecisato di dispersi, che dovrebbero essere circa cinquanta, le cui spoglie resteranno per sempre nel ventre del Mediterraneo. Il Mattino ha provato a ricostruire la vicenda e appare chiaro che qualcosa nella catena di comando non è andato come doveva o, peggio ancora, nessuno sa con certezza come bisogna procedere in casi simili a quelli accaduti lunedì scorso.

Un elicottero della Marina militare italiana avvista un barcone di migranti alla deriva a 30 miglia dalle coste libiche. Dal velivolo viene subito inviata la comunicazione alla centrale operativa di Roma che ha il compito di gestire i soccorsi. Dalla sala della Mrcc italiana provano allora a contattare i guardiacoste libici, ma senza ottenere risposta. Di qui la decisione delle autorità italiane di emettere un allarme a tutte le navi presenti nella zona per provvedere al salvataggio. Sono le 7,15 quando alla chiamata d'emergenza risponde per prima la nave della ong tedesca Sea Watch 3 che subito si dirige verso la posizione indicata. Nel frattempo viene ripristinato un collegamento con le autorità libiche che, a loro volta, inviano una propria motovedetta per effettuare i soccorsi.
 
Il regolamento secondo quanto spiega un documento inviato al Mattino dalla Guardia costiera italiana prevede che la Sea Watch, la prima nave a rispondere alla chiamata d'emergenza, è l'imbarcazione deputata a gestire l'operazione. O forse no, almeno non secondo i libici. Le autorità di Tripoli ritengono infatti che la zona di mare fino a 100 miglia dalle proprie coste sia a tutti gli effetti sotto la propria giurisdizione. Per questo sono convinti di avere loro il comando dei soccorsi. Tutto il resto è solo caos e confusione nell'interpretazione delle regole. Sia l'imbarcazione di Sea Watch che quella della Marina libica arrivano quindi sul posto. I primi sono i marinai tripolini che con una corda riescono ad avvicinare il gommone ormai bucato e senza motore alla propria nave. Ma l'ong tedesca ritiene comunque di dover prestare i soccorsi ai migranti, ne nasce così uno scontro con i guardiacoste libici. A nulla valgono gli appelli tramite megafono dell'elicottero della Marina italiana che osserva dall'alto la scena e che intima alla nave libica di collaborare con l'ong. L'invito cade nel vuoto: i libici ritengono di dover intervenire loro, mentre gli attivisti, avendo risposto per primi alla chiamata d'emergenza, considerano legittima la loro presenza.

Ad aggiungere confusione ad una situazione già di per sé surreale c'è poi la volontà dei migranti. I naufraghi sono consapevoli che se sono recuperati dalla Marina libica saranno riportati di nuovo in Libia in quei campi profughi sempre più simili a dei lager, se invece ad abbordarli sono le navi delle ong riusciranno nel loro tentativo di giungere in Italia. È per questo che i migranti si tuffano dal gommone per raggiungere a nuoto l'imbarcazione della Sea Watch. Fanno altrettanto anche altri disperati già imbarcati dalla Marina libica che si lanciano dalla motovedetta per andare verso gli attivisti e, quindi, in Italia. Per evitarlo gli ufficiali libici come mostrato in un filmato diffuso da Sea Watch frustano con una corda alcuni migranti. Ma il problema è che anche chi si tuffa in mare non sa nuotare, oppure è troppo stanco per resistere alle onde dopo la traversata. Così annegano.

Sono 58 le persone portate in vita in Italia dalla Sea Watch, meno di 30 quelle riportate in Libia dalla nave della Marina libica, la restante parte di circa 150 persone che erano a bordo del gommone sono morti e dispersi. Ora resterà da capire cosa accadrà in futuro quando situazioni del genere si ripresenteranno. Chi avrà il compito di effettuare i soccorsi?

I libici che rivendicano il controllo delle acque territoriali oppure le ong che sono allertate dalla Guardia costiera italiana? Sul caso sono intervenuti diversi parlamentari d'opposizione, da Fratelli d'Italia a Mdp, che hanno richiesto un'audizione al ministro Minniti sul tema. Se non fosse che la competenza della Guardia costiera è in capo al ministero dei Trasporti di Graziano Delrio. Perché di confusione non ne manca neppure in Italia. Il punto, probabilmente, è tutto politico e verte su quale atteggiamento tenere nei confronti delle organizzazioni non governative.

Lo scorso agosto il ministro Minniti stilò un codice di condotta per restringere le attività degli attivisti trovando ampio malcontento anche all'interno del suo stesso governo e in particolare di Delrio. Quando esplose il caso il titolare del Viminale minacciò le proprie dimissioni che rientrarono solo dopo il pressing del presidente Mattarella. Ma da allora, evidentemente, nulla è cambiato.