Riccardo Chailly, un anno alla Scala: «Libero la musica dai luoghi comuni»

Riccardo Chailly, un anno alla Scala: «Libero la musica dai luoghi comuni»
di Rita Vecchio
Sabato 4 Novembre 2017, 08:48 - Ultimo agg. 6 Novembre, 15:07
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Un direttore controcorrente. Alla vigilia dello Chénier inaugurale, Riccardo Chailly è pronto a salire sul podio scaligero con Cajkovskij e la musica al quadrato di Stravinskij. Maestro per alcuni versi rivoluzionario, per nulla scontato, predilige le strade poco esplorate. Anche nella scelta del repertorio. Un anno da direttore musicale alla Scala (ma attivo al Piermarini da tre), dirige la sua bacchetta nel bifronte sinfonico e orchestrale. E reduce da una trionfale tournée europea con la Filarmonica, orgoglio dell'Italia, ritorna con un programma che condurrà all'Andrea Chénier di Giordano il 7 dicembre, l'inaugurazione della stagione. Si parte con l'eredità del canto popolare russo il 6 novembre e, il 10 novembre, con la Messa per Rossini voluta da Verdi e mai eseguita prima da complessi sinfonico corali italiani.

Bilancio dell'anno alla Scala?
«Positivo. Un repertorio italiano valorizzato, la riscoperta di partiture dimenticate o non conosciute e l'apertura a un pubblico più esteso con la diretta Rai dell'opera. Un bel risultato».

Dati alla mano, la sua popolarità è maggiore all'estero che in Italia. Come se lo spiega?
«Non trovo una risposta. Anzi, sono io che chiedo a Lei. È un po' atipico, certo. Quello che a me importa è il valore del lavoro capillare che stiamo facendo. Il compito di un direttore musicale è arrivare al traguardo collettivo. È un percorso difficile ma pieno di soddisfazioni».

Colpa dell'Italia?
«Ma no. Siamo nel centro dell'Europa e ne rappresentiamo la dimensione mitteleuropea».

Alla prima della Gazza qualche fischio dai loggionisti però c'è stato.
«Duemila spettatori a sera per otto sere fanno sedicimila persone che hanno applaudito. Se ad alcuni non è piaciuto, pazienza. L'opera mancava in Scala da 200 anni, inserita nell'idea di recupero del passato storico, con un grande lavoro di ricerca. Gli ascolti della diretta TV ne hanno decretato il grande successo».

Teme le critiche per Chénier?
«No. Credo sarà apprezzato. Lo confermano le prevendite. Il cast sarà formidabile, l'allestimento importante e la proposta verista una novità. Mi aspetto una serata di grande interesse. Pensiamo al successo di Butterfly nella sua prima versione. Quell'opera, rispetto a Chénier, era un esperimento ancora più arduo».

La sua tournée ha scompaginato gli schemi: un repertorio insolito, diverso quasi ogni sera, e senza l'uso di fondi pubblici. Lei è un maestro un po' fuori le righe.
«Essere indipendenti dà libertà di azione. Per fare questo, ci vuole una capacità organizzativa in accordo ovviamente con la Scala, uno dei più importanti teatri al mondo. Abbiamo registrato il tutto esaurito in quasi tutte le date, con numero di concerti superiore rispetto alla stagione solita. Portare all'estero un repertorio per molti aspetti originale è evoluzione mia e dell'Orchestra».

Perché Stravinskij e Cajkovskij?
«Programma che avevo già diretto in parte qui trent'anni fa, quando ero giovane (ride, ndr). Erano i miei inizi, entusiasta studioso del primo Cajkovskij, dove proprio la Seconda Sinfonia è pagina tutta da godere per la disimpegnata freschezza d'invenzione».

È consapevole delle strade complicate che sceglie, vero?
«È come se usassi una lente di ingrandimento sulla produzione sinfonica più importante. Ho agito come con Brahms, Schumann e ostakovi. La Filarmonica in Scala riporterà un ajkovskij immerso nel suo mondo sinfonico, accostato a uno Stravinskij affine. Il suo Chant funèbre, composizione del 1908 e ritrovata solo due anni fa casualmente durante un trasloco, è atipico rispetto all'altra sua opera Petruka, se si pensa che è eredità del canto popolare russo del primo 900 e scritto per la morte del suo insegnante Rimskij-Korsakov».

Anche la Messa per Rossini che anticipa il 150esimo anniversario della morte del Pesarese. Ma come riesce a districarsi tra tutti questi impegni?
«Non è un'abilità. La direzione del Festival di Lucerna, della Filarmonica e dell'Orchestra della Scala portano la mia firma identitaria: voglio valorizzare la nostra cultura sinfonico corale, quella meno conosciuta. La Messa per Rossini non è mai stata eseguita da una sinfonica corale italiana. Per l'opera, si pensi a Madama Butterfly, a La Gazza Ladra o all'imminente Andrea Chénier».

Azzardo: potremmo trovare addirittura un primo Verdi in cartellone, come Attila?
«Un Verdi minore? Perché no».