Pavese, quei versi d'amore inediti e segreti scritti a 15 anni

Pavese, quei versi d'amore inediti e segreti scritti a 15 anni
di Massimo Novelli
Martedì 24 Ottobre 2017, 09:14 - Ultimo agg. 14:44
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Quando il critico letterario Lorenzo Mondo pubblicò su «La Stampa», l'otto agosto del 1990, un taccuino segreto di Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 1908 - Torino, 1950) risalente al 1942-43 ed espunto dallo stesso romanziere dal suo diario, fu grande lo sconcerto tra i lettori e gli intellettuali. In particolare ci fu stupore tra quelli legati al mito di un Pavese uomo di sinistra, comunista, antifascista senza compromessi o dubbi. Quelle pagine svelavano un Pavese davvero inatteso, e persino inammissibile secondo certi stereotipi culturali, a causa delle numerose affermazioni favorevoli al fascismo e per frasi come la seguente: «Tutte queste storie di atrocità naz. (naziste) che spaventano i borghesi, che cosa sono di diverso dalle storie sulla rivoluzione franc. (francese), che pure ebbe la ragione dalla sua?».

Ben differente è lo scrittore piemontese che viene proposto ora dalla casa editrice genovese Galata nel libro Inediti di Cesare Pavese (pagg. 128, euro 12), curato da Mariarosa Masoero, una delle maggiori studiose pavesiane, e con un contributo di Felice Pozzo, eccellente studioso di Emilio Salgari. Il volume contiene un testo già pubblicato da Galata qualche anno fa, Dodici giorni al mare (il mini-diario di un Pavese quattordicenne), ma soprattutto l'inedito Amore indiano (il titolo è dei curatori). Si tratta di un pometto in terzine dantesche, dove il futuro autore de La luna e i falò riemerge nella veste di poeta di quindici anni, innamorato di una compagna di ginnasio, Olga Casati, e infatuato di Salgari. Per dare sfogo a quell'amore, peraltro mai dichiarato all'interessata, e alla passione salgariana sempre viva in lui, fra l'aprile e il maggio del 1923 buttò giù tre canti e un frammento del quarto, imbastendo una storia in versi di cowboy e di indiani d'America, in cui l'eroina si chiama, guarda caso, Olga, e l'eroe in questione, un capo pellerossa, Oklahoma, sembra essere Pavese medesimo. La vicenda è presto detta. Il cowboy Arnoldo, modellato verosimilmente sull'amico e compagno di scuola Mario Sturani, e la sua ragazza Olga vengono catturati dai guerrieri Pawnees. Tortura e morte li attendono, se non che il giovane capo indiano Oklahoma, invaghitosi della fanciulla, decide di farli fuggire. Resterà solo, con la disperazione nel cuore. O meglio, come verseggia il Pavese da cucciolo, «fa un passo avanti, e quindi come stanco/ rotola fra i cespugli discoloro, /mormorando in un soffio: Angelo Bianco...'».

Una storiella quasi infantile, di valore letterario pressoché inesistente o comunque esilissimo, che però è interessante se la si legge nel contesto pavesiano, nello scavo della vita di un uomo e di un letterato che raramente riuscì a essere felice. I canti che la declinano, intanto, evidenziano il ricalco di ambienti e situazioni salgariane. Lo tratteggia con sapienza Pozzo nel suo saggio, rammentando che il Capitano veronese, morto suicida a Torino come del resto sarebbe accaduto a Pavese, ebbe un posto non indifferente nell'educazione sentimentale, umana e letteraria, dello scrittore di Santo Stefano Belbo. Basti pensare che, ancora nel 1929, confessava a un amico di rileggere i romanzi di Salgari; e si consideri I Mari del Sud, una delle sue poesie, quelle adulte, più famose, in cui Pavese rievoca i tempi felici di quando giocava «ai pirati malesi». Centrale, in Amore indiano, è sicuramente il dato biografico trasfuso nell'acerba letteratura da ginnasiale. Scrive la Masoero nell'introduzione: «Evidente e fin troppo facile il travestimento dei tre», Pavese, Olga e Sturani, «nel poemetto in questione». Olga, che, a quanto pare, nella realtà non era poi così seducente, è una «amazzone perfetta», dalle «membra alabastrine», la «pelle fina» e un «biricchino nasetto/ volto in alto». Mentre Oklahoma-Pavese «medita tristemente i suoi difetti». Sturani-Arnoldo, quindi, appare «alto, muscoloso», e «intelligente e fiero».

Certo è che quell'Olga, Olga Casati, aveva davvero rapito il cuore dello studente Pavese. Prima ancora del poemetto, il cui testo originale è conservato al Centro studi universitario torinese Pavese-Gozzano, diretto dalla Masoero, alla compagna di ginnasio aveva dedicato svariati sonetti. Sono alcuni di quei «brufoli poetici», dice la studiosa pavesiana, che descrivono la ragazza «dalle labbra coralline», con quel viso «che tanto ho adorato». Olga è probabilmente il primo dei tanti amori perduti, non corrisposti, o più che infelici, di Cesare Pavese: da Tina Pizzardo a Constance Dowling, da Fernanda Pivano a Romilda Bollati di Saint-Pierre. Anche per queste ragioni il poemetto adolescenziale Amore indiano si può leggere, più che come una vera prova letteraria foriera di un talento sicuro, come il segno premonitore di un tragico destino esistenziale.