Roma, nel libro di Desario una città da scuotere e accarezzare

Roma, nel libro di Desario una città da scuotere e accarezzare
di Mario Ajello
Mercoledì 18 Ottobre 2017, 00:05 - Ultimo agg. 23 Ottobre, 22:18
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S’incuriosisce. Si stupisce. Si emoziona. Non cede mai Davide Desario a quell’assuefazione che hanno i giornalisti consumati e abituati al tran tran dell’«oggi mi tocca fare questo» (argomento) e l’indomani «mi tocca quest’altro» (tema). No, Desario - che ora firma il secondo capitolo di una saga: #RomaBarzotta 2, introduzione di Malcom Pagani, edito da Avagliano - ha un flusso di sguardo che prescinde dal tempo: sta sempre acceso anche di notte. E quando chiude gli occhi, per riposarsi un po’, è pronto a riattivarli appena lo chiami, anche se sono le tre di notte: «Davide, è successo questo, per favore....». Non ti fa neppure finire la frase, e da giornalista sveglio qual è ha già capito che non c’è da fare un favore a qualcuno ma una cortesia a se stesso e al suo amore, diurno e notturno, che è l’informazione. E la notizia che gli stai dicendo lui (responsabile del sito web del Messaggero) quasi in simultanea la mette nella rete, che è il suo universo non distaccato, digitale ma carnale.

Questo è l’autore di #RomaBarzotta 2. Sembra un forever young Desario. Un personaggio fresco e scattante, anche se sempre pacato e apparentemente tranquillo. Il suo libro lo riflette. Il tono di queste sue pagine non è mai sferzante, eppure non c’è nulla che lui racconti che sia accomodante rispetto al soggetto narrato, cioè Roma, amata di un amore che non è mai passivo.

Le “50 sfumature di grigio” con cui vengono coperte le buche di Roma, senza che la superficie stradale in realtà ne benefici, producono «50 sfumature di parolacce in ogni romano». E ci sono raccontini esilaranti in questo diario degli ultimi due anni della Capitale (già apparsi nella sua rubrica sul Messaggero ma qui si snodano come un film agrodolce). Per esempio quello sull’inflazione del daje. Finisce così: «Si sta davvero esagerando con questa parola. Dovremmo tutti farci più attenzione. Daje».
 


OTTIMISMO
Roma è una città da accarezzare e da scuotere. Desario accarezza tutte le infinite varietà degli scalini di Roma - ne racconta affettuosamente le pietre, le dimensioni, le direzioni, come un poeta che descrive i riflessi dei capelli della sua amata e le sfumature dei suoi sguardi - e non si dà pace, più borbottando che schiaffeggiando, per l’assurdità di una metropoli che dopo le 11 di sera lascia digiuni i suoi abitanti e i suoi ospiti, perché i ristoranti hanno chiuso le cucine. Così come non è mai banalmente sferzante, l’autore non è neppure lagnosamente lagnoso. Resta ottimista in ogni istante, anche quando ciò che vede e appunta cerca di dissuaderlo. A un certo punto scrive che di fronte al degrado «i romani stanno perdendo la pazienza», e lui condivide questo sentimento ma nel descriverlo non lo eccita. Gli è alieno il populismo d’ogni genere, ecco.

E il suo racconto va dalle transenne che insieme alle buche sono le vere padrone del paesaggio urbano ai bambini che non devono vedere troppo degrado, sennò si abituano alla bruttezza; dai romani che hanno paura della gentilezza del prossimo (magari mi sta truffando?) alla retorica del «chi conosco?» (appena ci si imbatte in un problema) che è un alibi per non ammettere che Roma perfino nei suoi uffici pubblici è piena di persone coscienziose, le quali fanno quel che devono fare perché lo vogliono fare e lo fanno per tutti e non solo per qualcuno. Insomma, come tutte le cose belle, Roma va maneggiata con cura e il rispetto per la sua fragilità è forse la qualità migliore di queste pagine.

La Capitale, per risorgere, ha bisogno di ricordarsi del patrimonio inesauribile di civiltà che contiene e Desario la invita continuamente a vincere il proprio pudore, a non nascondere, sotto la polvere i disservizi, quel desiderio di grandezza che le appartiene.
E che poggia, anche, sulla consapevolezza dell’importanza delle piccole cose. Come nella poesia di Trilussa, scelta per epigrafe in #RomaBarzotta 2: «C’è un’ape che se posa / su un bottone de rosa: / lo succhia e se ne va... / Tutto sommato la felicità / è una piccola cosa».

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