Alessia, la ragazza di Napoli scaricata come un pacco postale dagli assistenti sociali

Alessia, la ragazza di Napoli scaricata come un pacco postale dagli assistenti sociali
di Mariagiovanna Capone
Venerdì 13 Ottobre 2017, 09:19 - Ultimo agg. 09:52
3 Minuti di Lettura

Ci sono storie di cui non si vorrebbe scrivere, perché non si immaginino reali. Come quella di Alessia B., 22enne disabile che abita in un basso all'Arenaccia, un rione al centro di Napoli, circondata da montagne di scatoloni, con le blatte che le camminano addosso mentre mangia buste di patatine, seduta sul letto dalle lenzuola luride. Difficile trovare le parole giuste per descrivere lo stato privo di dignità in cui vive. Un contesto di degrado e abbandono che nell'ultimo mese ha raggiunto livelli di disumanità agghiaccianti. Non una situazione sconosciuta, ma come affermano i parenti «ben nota ai servizi sociali del Comune di Napoli».

La storia parte da lontano. Alessia è autistica e ha un ritardo psicomotorio. Non può provvedere a se stessa: deve essere vestita, lavata, accompagnata in bagno e ha anche bisogno di nutrirsi in maniera corretta poiché è celiaca. La sua giovane vita la trascorre da sempre nella sua cameretta di pochi metri quadrati circondata da oggetti di ogni tipo. La madre, infatti, è un'accumulatrice compulsiva che ha sommerso la sua abitazione di beni totalmente inutili. Sebbene la donna sia piuttosto malconcia per via anche di alcune patologie fisiche oltre che psicologiche, ha sempre provveduto a mantenerne il decoro della figlia, lavandola e nutrendola con cura. Fino allo scorso 14 settembre quando è venuta a mancare improvvisamente per un arresto cardiaco. Una notizia nefasta che si è abbattuta su questa famiglia disgraziata, poiché il papà di Alessia, ricoverato da molti mesi per una grave tubercolosi, era stato dimesso proprio pochi giorni prima della morte della moglie. Una tragedia nella tragedia che sembra accanirsi su queste persone fragili, «abbandonate letteralmente dai servizi sociali e dai tutori legali» come denunciano i parenti più prossimi e «a conoscenza del contesto in cui vivevano» ammette Oreste. «Per anni ho provato ad aiutare mia sorella continua - farle capire che doveva disfarsi di tutte quelle cose accumulate in casa, che l'avrei aiutata a rendere la casa più salubre. Non c'è stato verso, mi insultava, aggrediva, mi ha cacciato in malo modo tante volte e per un anno e mezzo non potevo avvicinarmi. Solo qualche mese fa sono riuscito a rientrare in casa trovando una situazione ancora peggiore di quella che avevo lasciato. Non avevamo idea che fosse peggiorata così». La donna gli apre la porta di casa perché sfinita da una grave forma di diabete e probabilmente da una patologia cardiaca che non si immaginava avesse e che poi l'ha portata al decesso. Dentro insetti e sporcizia perché non aveva più le forze per pulire casa. «Organizzai disinfestazione e sgombero di tutta quella roba, solo in piccola parte immondizia ma composta soprattutto da abiti, pentole, piatti, scarpe tutti nuovi. Ma la situazione di mio cognato precipitò e ci siamo dovuti fermare».

Nel frattempo, a detta di Oreste, i servizi sociali intervengono prendendosi cura esclusivamente di Alessia: «Le affidano un giudice tutelare, un avvocato che gestisce i suoi beni e un'assistente domiciliare che doveva curarsi di lei, solo che non si è mai vista». In parole povere Alessia viene lasciata da sola, con i genitori incapaci di potersi prendere cura di lei e privati anche della sua pensione che serviva a comprarle cibo per celiaci, indumenti igienici, medicine. 

Continua a leggere sul Mattino Digital