Diana, che festa per il patriarca: «Vi racconto i miei primi 80 anni»

Diana, che festa per il patriarca: «Vi racconto i miei primi 80 anni»
di Luciano Giannini
Martedì 12 Settembre 2017, 10:22
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Date fatidiche: «Il 4 marzo del ’73, giorno dell’incendio che devastò il Diana, era il mio onomastico. Per buon augurio io e Mariolina, dopo i lavori di restauro, riaprimmo il teatro la sera del 12 settembre, mese del colera e giorno del mio compleanno. Avevo 36 anni. La scaramanzia è servita. Ora ne compio 80 e posso dire che il sole mi ha quasi sempre sorriso. Sono un uomo fortunato». La dinastia dei Mirra celebra oggi il compleanno del suo patriarca, che sia nella figura fisica sia nella personalità rinnega l’orgogliosa solennità celata nella parola. A 80 anni Lucio Mirra si volge sereno al passato e osserva con terreno, soddisfatto sorriso le tappe di una esistenza solida e laboriosa, pragmatica e paziente, tenace e di buon senso borghese, tesa a costruire dal nulla, o da molto poco, una invidiabile impresa famigliare che oggi amministra due cinema - il Plaza e l’Arcobaleno - e, soprattutto, il Diana, diventato grazie a lui e alla moglie Mariolina, scomparsa qualche anno fa, uno tra i più importanti teatri italiani. Per l’occasione, stasera Lucio riunirà parenti, amici e colleghi in un grande albergo napoletano dove, tra gli altri, lo festeggeranno Vincenzo Salemme, Lina Sastri, Maurizio De Giovanni, Gino Rivieccio, Massimiliano Gallo, Giacomo Rizzo...

Come ci si sente a 80 anni, Lucio?
«Come a 79. Sto bene, anche se a questa età non si può mai dire. E, poi, ormai il lavoro pesante lo fanno i miei tre figli. Io mi limito a un po’ di contabilità e ai rapporti con alcuni produttori e agenzie che sono conoscenze di vecchia data. Gianpiero si occupa delle produzioni e dirige il nostro ufficio romano; Guglielmo della programmazione e dei cinema; Claudia delle relazioni esterne».
Prima invece?
«A 50 anni viaggiavo quasi tutte le settimane e spesso la sera tornavo di corsa a Napoli per le prove, per una prima o per portare a cena un attore, dove l’argomento di conversazione era invariabilmente lo stesso. I miei figli per anni ci hanno presi in giro: “Ci avete cresciuti a pane e teatro”, dicevano a me e a Mariolina. Oppure si andava a casa nostra: Alberto Lionello amava il suo gattò, Patroni Griffi il sartù di riso, e Tieri la pasta e patate».
Quando guarda il Diana dal marciapiede di via Luca Giordano, che cosa pensa?
«A mio suocero, Giovanni De Gaudio, il papà di Mariolina, che nel 1929-‘30 ebbe l’intuizione misteriosa e vincente di comprare un terreno del Vomero, che a quel tempo era un orto, per costruire un cinema-teatro... lui che aveva con i fratelli una ben avviata tipografia...».
Il momento più difficile che ha affrontato?
«Gliel’ho detto, mi ritengo un uomo fortunato. Ho fatto ciò che volevo, nonostante le difficoltà».
Come l’incendio del ’73.
«Come l’incendio, sì. Fu un periodo tragico. Ci avvertì un mio cugino che abitava nei paraggi e all’alba notò il fumo. Alle otto, mentre io e Mariolina, in strada, guardavamo i vigili del fuoco, arrivò Nino Taranto, che aveva sentito la notizia alla radio. Scoppiò in lacrime davanti a noi. Era un vero uomo di teatro. Furono mesi difficili: di giorno seguivamo i lavori di restauro e la sera tornavamo nella nostra casa di Seiano, dove avevamo mandato i figli per allontanarli dal colera».
Lei si occupava di tutt’altro nella vita...
«Facevo l’avvocato; prima in uno studio privato, poi alla Tirrenia. Mi fidanzai con Mariolina nel ’60 e la sposai due anni dopo. Quando, nel ’69, al Diana si aggiunse il Plaza, capii che non avrei potuto più dividermi. Mi licenziai dalla Tirrenia e divenni quel che sono».
Che cosa ha capito del suo mestiere?
«Che esige tanta pazienza. Gli attori vanno trattati con garbo. Ma li capisco. Sono creature sole, per mesi in tournée. Hanno un ego smisurato e desiderano qualcuno che li coccoli. Bisogna accettare quel che dicono, anche se a volte sono fesserie madornali. E, poi, ci vuole abnegazione. Il teatro vuole il tuo corpo e anche la tua l’anima».
Che eredità lascia ai figli?
«Cospicua. Ho cominciato da zero. Al principio non capivo niente di questo lavoro. In 53 anni io e Mariolina abbiamo prodotto 122 spettacoli e ospitato quasi 600 compagnie... Discutere all’infinito con artisti e tecnici; convincere un attore a non abbandonare la produzione una settimana prima del debutto... di tutto questo oggi si occupano i miei figli. Posso finalmente rilassarmi».
Un sogno nel cassetto?
«Sogni? Tanti anni fa volevamo produrre la versione teatrale del film “Carosello napoletano” di Ettore Giannini. Ci lavorammo, pensammo a Patroni Griffi come regista, ma il progetto era troppo impegnativo e lo abbandonammo. Ora non mi interessa più. Sono appagato».
 
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