Shorter: «Il mio amico Pino Daniele?
Il gitano che cambiò la musica napoletana»

Wayne Shorter, Danilo Perez e John Patitucci
Wayne Shorter, Danilo Perez e John Patitucci
di Federico Vacalebre
Mercoledì 19 Luglio 2017, 11:18
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Come se non bastasse Wayne Shorter con il suo quartetto all star, come se non bastasse il panorama mozzafiato di Villa Rufolo, sold out come meritano le vere grandi occasioni del Ravello Festival, nella sua sezione jazz affidata a Maria Pia De Vito. La cronaca registra: Richard Gere in platea a distrarre i presenzialisti;  un incendio tra Conca dei Marini e Furore a illuminare con vampe sinistre la notte; un vento forte ad alimentare le fiamme e costringere i musicisti a inseguire gli spartiti che volano via; un gruppo di spettatori rimasti senza biglietto a urlare e sbraitare all'esterno.

Danilo Perez, straordinario pianista panamense, gioca, quando può con quelle voci dal senno fuggite, ribattendo sulla tastiera le note gridate da fuori, trasformandole in un'inedita melodia. Inedita come quella di «Scout», la suite che apre la serata: il titolo è il nome dell'eroina di «Il buio oltre la siepe», film di Robert Mulligan con Gregory Peck tratto da un romanzo di Harper Lee: «Scout, intepretata da Mary Badham, era la figlia di Peck nella pellicola, ma anche un'astronauta, capace di viaggiare e raggiungere il centro del cuore umano», spiega in camerino l'ottantaquattrenne che ha fatto la storia del jazz passando da Miles Davis ai Weather Report. Una storia di segregazione, razzismo, coraggio, giustizia e ingiustizia: Shorter, messa da parte la velocità giovanile, suona piano, distillando note profonde, seguendo tragitti non sempre lineari, ma cantabilissimi anche quando sono spezzati, frammentati, come tessere di un puzzle che si può comprendere solo da lontano. John Patitucci è una roccia, il suo contrabbasso è il perno che permette ai compagni qualsiasi deviazione, tanto c'è sempre lui a mostrare la strada, a riportare il tempo al suo inesorabile scorrere. Un beat che la batteria di Billy Blade dilata, rallenta, espande, fa correre a rotta di collo fino a strappare applausi a scena aperta.

Di Shorter anche gli altri materiali proposti: «Lost» era nello splendido album del 1965 «The soothsayer» con James Spaulding, Freddie Hubbard, McCoy Tyner e Ron Carter, mentre «The three Marias» era su «Atlantis» del 1985 e «Zero gravity» appartiene al repertorio del quartetto, come «She moves trough the fair», costruita intorno a una folksong irlandese. Di recente composizione - più musica scritta che improvvisata, stanotte - sono «Lotus» e «Prometeus unbound». Materiali di sicuro non ostici, ma nemmeno «eroici» e senza bis, con Shorter che alterna il tenore al sax alto, che soffia nervoso ma soprattutto con matura concentrazione. «Uno show selvaggio», commenta alla fine lui sorridente, ricordando l'amico Pino Daniele con cui incise un album storico come «Bella 'mbriana»: «Era il gitano di Napoli, un innovatore, un musicista a 360 gradi.

Voleva cambiare la musica della sua città, peraltro città della musica. E l'ha fatto».

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