Vaticano, morto Joaquìn Navarro Valls

Vaticano, morto Joaquìn Navarro Valls
Mercoledì 5 Luglio 2017, 20:41 - Ultimo agg. 6 Luglio, 19:46
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Viste le sue origini spagnole a Joaquin Navarro Valls è sempre stata collegata una specie di leggenda favolosa: che per forza di cose da giovane avesse fatto anche il torero. Il che, naturalmente, non era vero ma lui lasciava dire, ci scherzava sopra, consapevole che questo particolare gli avrebbe aumentato il già non indifferente fascino. Elegante, sportivo, colto, gentile con tutti.
La morte di Joaquin non è stata una cosa improvvisa. Ormai era una questione di giorni, il male lo aveva minato irreversibilmente ma lui voleva che non se ne parlasse. Era fatto così. Il più grande portavoce e comunicatore che i Papi abbiano mai avuto, aveva scelto di non comunicare a nessuno la sua fine imminente, lasciando che il silenzio avvolgesse questi ultimi mesi, circondato dall'affetto della sua famiglia d'adozione, l'Opus Dei.

Di sé raccontava che da ragazzo, quando studiava medicina, non aveva assolutamente idea di quello che poi avrebbe fatto nella vita. «Ho avuto spesso la sensazione di non avere scelto io gli itinerari e le opzioni». Amava la gente di buon umore e cercava di condire le sue giornate con più allegria possibile, anche se in Vaticano, durante i suoi 22 anni di permanenza, dal 1984 al 2006, i guai e le amarezze non gli mancavano, spesso alle prese con pressioni della curia da una parte e sollecitazioni dai giornalisti di tutto il mondo dall'altra, ai quali ha dato parecchio filo da torcere. La comunicazione del Vaticano grazie a lui è stata amplificata, studiata e resa globale. Da ex giornalista conosceva bene i segreti del mestiere, così come sapeva muoversi negli ambienti ecclesiastici.

 

 


UN PROFESSIONISTA
Forse è riduttivo definirlo solo un portavoce, perché Joaquin è stato molto di più, uno stratega. Giovanni Paolo II si affidò completamente a questo professionista, lasciandogli anche una autonomia fino a quel momento mai sperimentata per un laico. Wojtyla non solo gli voleva bene ma si confrontava. Si vedevano quasi quotidianamente e questo è stato uno dei punti di forza del portavoce vaticano. Nessuno come Joaquin sapeva interpretare la direzione di marcia del Papa polacco, intuirne gli effetti, pararne i colpi.
Aveva un debole per Madre Teresa che ha conosciuto bene. «Aveva un sorriso ironico e innocente. Nel suo viso anziano e rugoso, c'erano occhi da bambina. Era stupenda, come tutti i santi». Spesso capitava che Giovanni Paolo II gli affidasse anche lavori extra, anche se esulavano dal suo ruolo. Per esempio il viaggio papale a Cuba: fu Joaquin a prepararlo. Ricordava divertito quei momenti storici con un misto di soddisfazione e di incredulità. Fidel Castro lo invitò a una cena all'Avana e poi tutto avvenne nella conversazione successiva durata cinque ore. «Eravamo soli, io e lui. Ho conosciuto una persona attenta, intellettualmente curiosa, con cui si poteva perfino scherzare, una volta superata la sua barriera, la sua armatura di grande dittatore».

Mentre si fumavano sigari cubani e bevevano rum, Joaquin e Castro si intendevano su quella che sarebbe poi diventata la grande vittoria di Giovanni Paolo II: la visita nell'ultima roccaforte comunista dove, all'epoca, era vietato persino festeggiare il Natale. Joaquin ha conosciuto anche Gorbaciov. Diceva che era un uomo dal sorriso facile, innamorato ancora della moglie Raissa. Quando, anni dopo, Giovanni Paolo II fu informato che Raissa era morta, il Papa volle scrivere una lettera a Gorbaciov.

E lui, qualche mese dopo, venne in Vaticano soltanto per ringraziare Wojtyla per quelle parole scritte.
La cifra umana nei rapporti interpersonali era fondamentale anche per Navarro Valls. L'ex portavoce vaticano ha gestito importanti momenti, a cominciare dalla malattia di Giovanni Paolo II, le diverse operazioni subite al Gemelli.
Ha sempre pensato che l'efficacia comunicativa dipendesse più da quanto il Papa poteva dire ai fedeli, affacciandosi alla finestra dello studio per l'Angelus, che come lo diceva, anche se ambedue gli aspetti dovevano essere tenuti assieme. I momenti complicati sono stati tanti.
Ha dovuto affrontare nel 2001 l'inizio dello scandalo della pedofilia che, all'epoca, iniziava a esterndersi negli Usa per via dei rimborsi alle vittime. Poi c'è stato il delitto (mai del tutto chiarito) del doppio omicidio suicidio all'interno della Guardia Svizzera.

Tante volte si è trovato costretto a tenere a bada la stampa e forse nascondendo difficoltà. Ma se la cavava sempre brillantemente.

GIRÒ TUTTO IL MONDO
Nel corso dei 22 anni al servizio dei Papi ha viaggiato tanto da coprire la distanza tra la Terra e la Luna. In tutto ha visitato 160 Paesi. Non potevano mancare le gaffe, per esempio la mancata visita al Papa del Premio Nobel per la pace, Rigoberta Menchù. Per protesta non vi andò e Joaquin fu colto in fallo da un giornalista che gli chiese a bruciapelo come fosse vestita.
Naturalmente non poteva saperlo e inventò lì per lì. Aveva sempre la battuta pronta. «Il miglior testimone di quanto Giovanni Paolo II stava dicendo era lui stesso, le strategie di comunicazione non servivano, né le apparenze. Eravamo consapevoli che non si trattava di una tecnica, ma di una testimonianza». Avrebbe potuto fare anche il torero, coraggio ed entusiasmo non gli sono mai mancati.

IL FUNERALE
I funerali saranno celebrati domani, venerdì, alle 11 nella chiesa di Sant'Eugenio, affidata all'Opus Dei, in viale delle Belle Arti.

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