Cannes, emozioni forti con il corto
di Inarritu girato con la realtà virtuale

Lo spettatore con il casco del corto "Carne y Arena"
Lo spettatore con il casco del corto "Carne y Arena"
di Gloria Satta
Venerdì 19 Maggio 2017, 20:21 - Ultimo agg. 20:32
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Non un film, ma un’esperienza. Non una sala tradizionale, ma un’installazione. Non una sceneggiatura a tinte forti, ma un’autentica tragedia contemporanea. Per colpire al cuore un solo spettatore alla volta. Nel giorno degli applausi a due film del concorso, ”Wonderstruck” di Todd Haynes e ”Nelyubov” di Andrey Zvyagintsev, l’evento di Cannes è ”Carne y Arena”, il cortometraggio sui migranti che Alejandro G. Iñárritu ha realizzato con la tecnica della realtà virtuale. Sei minuti e mezzo da brivido in cui il dolore, la paura, l’umiliazione dei protagonisti avvolgono letteralmente lo spettatore in preda a un coinvolgimento fisico ed emotivo che nessun discorso, nessuna inchiesta o denuncia potranno mai assicurare.
Per fare l’esperienza di ”Carne y arena” (atteso alla Fondazione Prada di Milano dal 7 giugno al 15 gennaio 2018) bisogna andare all’aeroporto di Mandelieu, a una decina di chilometri da Cannes dove, all’interno di un gigantesco hangar svuotato, è allestita l’installazione di Iñárritu. Spogliato di borse e cellulari, lo spettatore è invitato ad attendere in uno stanzino senza finestre. Unico arredo, una catasta di scarpe consunte appartenute ai migranti. Il disagio ti assale, sei già nell’atmosfera. Al suono di un allarme, si apre una porta ed entri in un grande spazio avvolto nel buio. Indossi casco, occhiali, uno zaino provvisto di cavi e sotto i piedi nudi avverti la sabbia.
SPETTATORE ACCERCHIATO
Il viaggio ha inizio: ti ritrovi immerso a 360 gradi nel deserto messicano dove un gruppo di clandestini tenta di passare il confine. All’improvviso, la notte è squarciata dal frastuono dell’elicottero della polizia che dall’alto saetta fasci di luce. Ti abbassi istintivamente per evitarlo mentre i migranti piangono, urlano, implorano «non uccideteci» agli uomini in divisa che spuntano da due pick-up con i fucili spianati. E anche tu, in mezzo a quei derelitti che hai l’impressione di toccare, ti senti accerchiato, braccato, disperato. Il cuore batte a mille, il confine tra storia e spettatore non esiste più.
L’esperienza si conclude in un corridoio che ospita le foto e le storie dei veri migranti che hanno ispirato il regista. «Questo progetto», spiega Iñárritu che si è affidato alla fotografia potente di Emmanuel Lubezki, tre volte premio Oscar, «si è nutrito delle testimonianze di molti rifugiati messicani e dell’America centrale. La realtà virtuale mi ha permesso di esplorare la condizione umana superando la dittatura dell’inquadratura che permette solo di osservare le cose. Invece lo spettatore di ”Carne y Arena” può vivere un’esperienza diretta nei panni degli immigrati, sotto la loro pelle e dentro i loro cuori».
E a proposito di emozioni, in partenza da Cannes dove tornerà il 23 per la festa del Settantennale, la madrina del Festival Monica Bellucci rivive l’inaugurazione. «Ho esordito in italiano per trovare la temperatura giusta», sorride. «Bisogna cogliere il momento magico». Il suo sarà quando, interpretato un piccolo ruolo in una serie di Niccolò Ammaniti, debutterà a sua volta come produttrice di una serie dedicata alla fotografa e attivista Tina Modotti.
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