Almamegretta, figli di ennenne e del dub

Almamegretta
Almamegretta
di Federico Vacalebre
Venerdì 5 Maggio 2017, 15:59 - Ultimo agg. 16:16
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Figli di Annibale e di nn, gli Almamegretta ripartono dalle origini con «Ennenne dub», rilettura in chiave dub, appunto, dell’ultimo album in studio, «Ennenne», appunto.
In fondo, tra le tante musiche frequentate dal collettivo, il dub resta forse il suono più tipico degli Alma, Raiz.
«È vero, e, di sicuro, è quello che ci riesce più spontaneo, semplice, facile. È il profumo di casa, un modo per confermare la nostra convinzione che la musica, le canzoni, i suoni, non siano ingabbiati in un disco, in una forma definitiva, ma vivano aperti per mille riletture».
Riletture praticate con fondatori del dub, come il mitico Lee Scratch Perry, o maestri come Dennis Bovell e Adrian Sherwood.
«Loro ci danno il sigillo di garanzia, il passaporto per poter operare su di un fronte che dalla natia Giamaica ha conquistato il mondo. I dj di Kingston usavano la versione strumentale dei successi del momento come basi per le loro pubblicità e i loro interventi parlati, poi il dub divenne arte autonoma, forma di riciclo del tempo, della melodia, del sound».
Una filosofia esistenziale, oltre che un sottogenere del reggae.
«In qualche modo sì, il dub è la possibilità di entrare in un pezzo e di smontarlo, di fermare il tempo, narcotizzarlo, accelerarlo. Una decostruzione dell’esistente a cui non pretende di sostituirsi, proponendosi solo come una delle versioni alternative possibili. A me le canzoni di “Ennenne” piacciono più così che nel loro aspetto originale: quasi a ogni disco che facciamo spero possa poi fare seguito una versione dub».
In questo processo di «autodubbing» il Nino D’Angelo di «Ciucculattina d’’a Ferrovia» e il Carlo D’Angiò - è un’emozione risentire la sua voce - di «Musica popolare», sono più vicini che mai.
«Proprio così: fungiamo da cerniera tra mondi che sono più vicini di quanto gli stessi protagonisti ammetterebbero, siamo il ponte tra i ragazzi della curva B, la Giamaica e i club londinesi. Il dub esalta le differenze, sa valorizzare il contributo glocal a un fenomeno global».
Sono tanti i «dub master» coinvolti.
«C’è Gaudi, al nostro fianco da sempre, lo ricordo in un nostro concerto dei primissimi tempi al Notting Hill, c’è Vibronics, c’è Paolo Baldini ormai quasi un Almamegretta a tempo pieno...».
Con Gennaro Tesone e Paolo Polcari avete anche messo a terra l’inedito «Pray», scelto come singolo, e video, di lancio.
«È una sfida alla convenzione che la nostra lingua sia il napoletano. La nostra lingua è la musica, inglese o dialetto che sia basta che suoni bene».
E l’italiano non suona bene.
«Ci ho provato tanto, ma... è una lingua bellissima, ma difficile da mettere in musica».
De André sottolineava il primato dei dialetti contro le lingue ufficiali.
«Faber, che in italiano scriveva come forse nessuno, sapeva quello che diceva: anche l’inglese che usiamo non è certo quello della regina, ma quello violentato da noi, come qualsiasi altro popolo, comunità, cultura, si serva di esso per vivere davvero».
«Ennenne» ovvero «nescio nomen». Ancora e sempre figli di Annibale, convinti che il fiore più felice sia quello senza radice?
«Sì, soprattutto in questo momento di localismi, nazionalismi, razzismi, snobismi, leghismi. Noi le nostre radici le abbiamo, e ne siamo fieri. Ma non le usiamo come armi contro le radici degli altri. Tutto il nostro percorso è un meticciaggio, un elogio della cultura bastarda. È bello avere una famiglia, un’identità, un’appartenenza religiosa ma non finire prigionieri di purismi ed integralismi. Anche per quello quest’estate andremo in tour con le versioni dub dei nostri pezzi reinventate da altri: non importa dirsi i migliori, i più bravi, gli “original one”. Bisogna battere il tempo giusto, rispettare il tempo degli altri, avere la voce, e soprattutto il cuore, in sintonia con chi sta sotto il palco».
Appuntamento live il 18 maggio al Duel:Beat di Pozzuoli e il 18 giugno al «Campania eco festival» di Nocera Inferiore.
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