La dichiarazione dei redditi di Trump è uno scoop. Anzi no

La dichiarazione dei redditi di Trump è uno scoop. Anzi no
di Luca Marfè
Mercoledì 15 Marzo 2017, 22:22
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NEW YORK - La dichiarazione dei redditi di Donald Trump è uno scoop. Anzi no. La politica americana, in questa complessa partita a scacchi fatta di tanti annunci, qualche strillo e poche verità, ha scelto oramai da tempo Twitter come palcoscenico delle proprie agitazioni. Ed è proprio dai 140 caratteri della rete sociale più diffusa qui negli Stati Uniti che la giornalista e presentatrice televisiva di Msnbc, Rachel Maddow, lancia il guanto di sfida dichiarando di avere tra le mani il prezioso documento. Pochi minuti e ribatte la Casa Bianca, svelando le cifre (ma non i particolari) del lontano 2005 cui fa riferimento la scrittura fiscale: 38 milioni di dollari di tasse versate a fronte di 150 milioni di dollari di redditi maturati nello stesso anno.

Numeri sui quali si può discutere nel dettaglio, tra aliquote e tecnicismi, che spazzano via però, addirittura di colpo, le ombre di una evasione pressoché totale di cui è accusato il presidente dal fronte politico-mediatico dei democratici.

Certo, ci sono ben 12 altri anni nel mezzo, ma il contraccolpo della serata è più favorevole che contrario a Trump che può permettersi attraverso il suo entourage di vestire persino i panni della vittima riguardo ad una documentazione trafugata in maniera illecita, secondo quanto sostenuto dai suoi legali.

Negli Stati Uniti, infatti, il primo emendamento consente alla stampa di pubblicare qualsiasi documento, sia esso di natura pubblica o privata. Possibilità tuttavia concessa, in quest'ultimo caso specifico, purché il responsabile della testata giornalistica dimostri di averlo a sua volta ricevuto da altre fonti e non si sia esposto in prima persona per averlo o addirittura per produrlo.

E, proprio mentre su questo aspetto si prepara la battaglia legale tra la Casa Bianca e la rete televisiva Msnbc, condita da spunti fantasiosi secondo i quali sarebbe stato lo stesso team di Trump a far saltare finalmente fuori la sua dichiarazione dei redditi pur di distrarre l’attenzione da dossier più spinosi, si sparpagliano tutt’intorno domande che ben poco hanno a che vedere con questa vicenda e che, contestualmente, ne dimostrano il flop, non soltanto mediatico.

Su tutte: che ne sarà di ObamaCare?

La riforma sanitaria voluta e costruita da Barack Obama, firmata nel marzo del 2010, ha mostrato in questi anni pregi e difetti, salvando parecchie vite, ma calamitando su di sé una serie sconfinata di critiche, anche in casa democratica, legate prevalentemente alla sua sostenibilità economica.

Proprio un’eventuale rivisitazione del sistema, in realtà già strutturata sotto il marchio TrumpCare, va analizzata a fondo, ben al di là delle cifre diramate ad occhio da New York Times e Cnn che rischiano di rivelarsi veritiere al pari dei sondaggi che davano Hillary Clinton avanti di percentuali a due cifre.

Rivisitazione, inoltre, che va contestualizzata ed osservata nell’ambito del quadro culturale a stelle e strisce per poter essere compresa appieno. Gli Stati Uniti, infatti, sono una realtà in seno alla quale di spazi per la mentalità assistenzialista ce ne sono pochi, pochissimi. Per cui tutto ciò che può suonare come una sorta di scandalo dal versante europeo dell’Oceano, qui può essere non soltanto inteso, ma addirittura desiderato da chi avverte una pressione fiscale eccessiva, divenuta necessaria negli ultimi anni proprio per mettere in piedi e tenere in vita un sistema sanitario più giusto e più vasto. Sistema che, tuttavia, ruota attorno a cifre vertiginose legate a decenni e decenni di impennate del mercato assicurativo.

Ecco: è su temi importanti come questo che si giocherà la vera sfida americana e non sui presunti scoop o sugli attacchi isterici di queste ultime ore. Ed è proprio su dossier del genere che un’opposizione lucida, sia essa politica o mediatica, dovrebbe provare a “mordere” un presidente che, viceversa, potrebbe persino trarre benefici da questo clima di veleni, come ha del resto già ampiamente dimostrato di saper fare nel corso della campagna elettorale.

Sarebbe meglio non distrarsi, insomma.
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