Sanremo, il ballo della scimmia | Vince Gabbani, seconda Mannoia. Clementino si classifica ultimo

Sanremo, il ballo della scimmia | Vince Gabbani, seconda Mannoia. Clementino si classifica ultimo
di Federico Vacalebre
Sabato 11 Febbraio 2017, 20:47 - Ultimo agg. 1 Giugno, 16:51
4 Minuti di Lettura

«Voglio trovare un senso a questa sera, anche se un senso questa sera non ce l’ha», cantava Vasco Rossi. Magari non pensava a Sanremo, di sicuro non alla finale del 2017, ma... Il senso di questo Festival sta nei suoi numeri importanti, importantissimi per la Rai (anche venerdì gli ascolti sono andati bene, 9.887.000 spettatori, pari al 47,1% di share, sia pur inferiori al 2016: 10.164.000 e 47.81).
 


Sta nell’inciucio RaiSet, sta nella santa alleanza tra Carlo III e Bloody Mary, sta nella conduzione a due velocità, quella di crociera del conduttore-direttore artistico Conti e quella al rallentatore della conduttrice-postina De Filippi che sfoggia il suo abito più elegante e il suo sorriso più stupefatto, già pregustando il ritorno tra gli amici e gli uomini e le donne. I primi, ad essere sinceri, abbondavano anche all’Ariston, trasformato in una sorta di depandance del girone talent show da un cast sciagurato e da una giuria di qualità a propria insaputa, ma così tanto insaputa che ha mandato in finale Atzei-Bernabei. 
 
 

Un senso ce l’ha, in qualche modo, la terna che si è giocata la vittoria fino all’ultimo televoto: il vincitore Francesco Gabbani, trasformato dal web in oscuro oggetto del desiderio e dalla danza della scimmia nuda di «Occidentali’s karma» in nuovo re del tormentino sceneggiato, con tanto di premio di TimMusic sul fronte dello streaming; Fiorella Mannoia con «Che sia benedetta», entrata papessa al festival per uscirne... Fiorella Mannoia grazie soprattutto alla sua interpretazione, più che per la canzone di Amara che l’ha convinta a rimettersi in gara; l’albanese d’Italia Ermal Meta, che alla dolente autobiografia di «Vietato morire» - storia di violenza familiare, di una mamma coraggio e di un bambino costretto a diventare adulto quando portava ancora i pantaloncini corti - ha affiancato una sorprendente «Amara terra mia» capace di declinare insieme Modugno e Cutugno e di conquistare, oltre al primo posto nella manche delle cover, un passaporto di credibilità. Dietro di loro, in ordine: Michele Bravi, una Paola Turci che meritava di più, Sergio Sylvestre, Fabrizio Moro, Elodie, Bianca Atzei, Samuel, Michele Zarrillo, Lodovica Comello, Marco Masini, Chiara, Alessio Bernabei, Clementino, ingiustamente relegato al sedicesimo posto.

Un senso difficilmente può essere trovato nella «sorpresa» dell’irruzione all’Ariston, dopo giorno di collegamenti, di Maurizio Crozza, stavolta nei panni del senatore-affabulatore Razzi che ama motivetti come «Finché la vacca va», «Papaveri e pecore» e «Nell’auto blu dipinta di blu». Strafalcioni a go-go per il politico «tutto casa chiusa e chiesa», con gag ad effetto alterno e «cazzi» a profusione, più una canzone jazzata: «Nel mondo c’è chi legge i libri... c’è pieno di chi va dentro i musei, qualcuno si affeziona anche ai negri e magari gli piace avere un figlio gay. Si chiamano estabilishimento, son fichetti sui terrazzi di Manhattan, ma Donald Manhattan l’ha costruita lui, che di parole ne conosce sei. Dittatore? No questo non credo, la tortura fa molto più allegro... Tu che dici accogliamoli tutti attaccati al Trump, tu che ci tieni all’ambiento attaccati al Trump».

Il minimo sindacale, o poco più, però ci sono Zucchero (con il suo «Partigiano reggiano» e il fantasma di Pavarottissimo per il duetto virtuale di «Miserere»), c’è Rita «adrenalina» Pavone ancora alle prese con il suo eterno «Cuore», a dare senso a uno spettacolo che dovrebbe essere musicale, ma vive di ben pochi explot sonori, se si esclude Mina che canta in uno spot. Come ripetuto ormai fino allo sfinimento, le canzoni in gara non sono un bello spot sulla salute del settore in Italia​.


Continua a leggere sul Mattino Digital

© RIPRODUZIONE RISERVATA