Di Maio, tre congiuntivi (tutti sbagliati) per un post. E la Rete lo sbeffeggia

Di Maio
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Sabato 14 Gennaio 2017, 16:12 - Ultimo agg. 15 Gennaio, 11:03
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Luigi Di Maio sbaglia tre volte il congiuntivo sui social e finisce triturato dall'ironia degli internauti. É stato l’account Twitter @nonleggerlo a cogliere e immortalare tre versioni di un post (due su Twitter e uno su Facebook) tutte clamorosamente sbagliate nell'uso del congiuntivo. 
 

 

Il tema scelto da Di Maio per lanciare il suo tweet è quello del cyberspionaggio: «Se c'è rischio che soggetti spiano massime istituzioni dello Stato...», scrive in un primo momento. Bastano pochi minuti e arrivano i primi sfottò, così Di Maio elimina il tweet e ci riprova. Ma anche stavolta va male: «Se c'è rischio che massime istituzioni dello Stato venissero spiate qual è livello di sicurezza...». Gli utenti Twitter si scatenano: «Ritenta, sarai più fortunato», scrive uno, mentre un altro si offre per pagare al deputato un doposcuola di grammatica. 

Ma non è finita qui: a peggiorare la situazione c'è anche una terza versione che il capo grillino pubblica sul proprio profilo Facebook. «Se c'è il rischio che due soggetti spiassero le massime istituzioni dello Stato qual è il livello di sicurezza...». Insomma, un disastro. 

Il vicepresidente della Camera del Movimento 5 stelle non è nuovo a scivoloni grammaticali. Uno dei più rimbalzati sul web è certamente quello che lo vide protagonista nel settembre scorso, quando dal palco di un comizio organizzato con Grillo e tutto il gotha pentastellato a Nettuno disse testualmente: «Come se domani presentassi venti esposti contro Renzi, lo iscrivessi nel registro degli indagati e verrei in questa piazza e urlerei Renzi è indagato». In quel caso la gaffe arrivò a ridosso della bufera per aver letto e non capito (come ammise lui stesso) la famosa mail che informava i vertici grillini dell'indagine giudiziaria a carico dell'ex assessore capitolino ai Rifiuti Paola Muraro.

E non è solo la grammatica ad aver creato imbarazzi a Di Maio. Sempre a settembre paragonò Renzi a «Pinochet in Venezuela».
Peccato fosse il Cile.

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