Dylan: «La mia è letteratura?
Ringrazio il Nobel per la risposta»

Bob Dylan
Bob Dylan
di Bob Dylan*
Domenica 11 Dicembre 2016, 12:12 - Ultimo agg. 17:27
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Buona sera a tutti.
Estendo i miei più calorosi saluti ai membri dell’Accademia Svedese e a tutti gli altri distinti ospiti  presenti stasera. Mi dispiace non poter essere con voi di persona, ma vorrei che sapeste che sono completamente con voi nello spirito e onorato di ricevere un premio così prestigioso. Essere premiato con il Nobel per la Letteratura è una cosa che non avrei mai potuto immaginare, mai ritenuto possibile. Sin dall'infanzia ho frequentato e letto e fatti miei i libri di quelli che sono stati ritenuti degni di tale riconoscimento: Kipling, Shaw, Thomas Mann, Pearl Buck, Albert Camus, Hemingway. Giganti della Letteratura le cui opere sono insegnate nelle scuole, ospitate nelle biblioteche di tutto il mondo e di cui si parla con toni di rispetto che mi hanno sempre molto impressionato. Il mio nome aggiunto a un simile elenco mi lascia senza parole.
Non so se questi uomini e donne abbiano mai pensato di ricevere l’onore di un Nobel, ma immagino che chiunque scriva un libro, una lirica, una commedia in qualche parte del mondo abbia un segreto in un posticino ben nascosto dentro di sé. Così profondamente sepolto che forse neanche lo sanno.
Se mi avessero detto che avevo anche una minima possibilità di vincere il Nobel avrei pensato che avevo forse le stesse possibilità di camminare sulla luna. Infatti, nell’anno in cui sono nato e per alcuni anni dopo, non c’era nessuno al mondo considerato abbastanza buono da vincere questo premio. Sono in una compagnia molto ristretta, a dir poco.
Ero per strada quando ho ricevuto una così sorprendente notizia, mi c’è voluto ben più di qualche minuto per metabolizzarla correttamente. Ho iniziato a pensare a William Shakespeare, grande figura letteraria. Mi sono domandato se lui si fosse sentito un drammaturgo. Il pensiero di fare letteratura forse potrebbe non essergli passato per la testa. Le sue parole erano scritte per la scena. Destinate a essere dette, non lette. Quando stava scrivendo Amleto, sono certo che stesse pensando a un sacco di cose diverse: “Chi sono gli attori giusti per questi ruoli?”, “Come si dovrebbe mettere questa cosa in scena?”, “Voglio davvero ambientarlo in Danimarca?”. La sua visione creativa e le ambizioni erano certamente al primo posto nei suoi pensieri, ma c’erano anche altre questioni più terra terra da prendere in considerazione ed affrontare: “Ci sono abbastanza soldi?”, “Ci sono buoni posti sufficienti per i miei finanziatori”?, “Dove lo vado a trovare un teschio?”. Potrei scommettere che nei pensieri di Shakespeare non ci fosse la domanda: “Questa è letteratura?”.
Da ragazzo, quando ho cominciato a scrivere canzoni, e poi ad avere qualche riscontro, non avevo grandi ambizioni per loro. Immaginavo che sarebbero state ascoltate nei bar, nei caffè, forse più tardi in spazi come la Carnegie Hall o il Palladium di Londra. Se avessi davvero sognato in grande, avrei pensato di metterle in un disco e poi di ascoltarle alla radio. Per me sarebbe stato un grande premio. Fare dischi e ascoltare le tue canzoni alla radio significava che stavi raggiungendo un ampio pubblico, che avresti potuto continuare a fare quello che avevi immaginato di fare.
Io  ho potuto fare quello che avevo progettato di fare per un sacco di tempo. Ho fatto dozzine di dischi e tenuto migliaia di concerti in ogni parte del mondo. Ma sono le mie canzoni il centro vitale di quasi ogni cosa che faccio. Sembrano aver trovato un posto nelle vite di molte persone attraversando tante diverse culture e sono riconoscente per questo.
Ma c’è una cosa che devo dire. Come performer ho suonato per 50.000 persone come per 50 persone, e posso dire che è più arduo farlo per 50 persone. Cinquantamila persone sono come una persona sola. Non così cinquanta. Ogni persona ha un'identità individuale e separata, un proprio mondo. Possono percepire le cose più nettamente. La tua onestà e come ti relazioni con la profondità del tuo talento sono messe alla prova. Il dato che il comitato per il Nobel sia così piccolo non mi fa perdere di vista questo. Ma come Shakespeare, anch’io sono spesso occupato a inseguire i miei sforzi creativi e a concentrarmi su tutti gli aspetti delle banali questioni della vita: “Quali sono i migliori musicisti per queste canzoni?” “Sto registrando nello studio migliore?”, “Questa canzone è nella tonalità giusta?”. Alcune cose non cambiano mai, anche dopo 400 anni. Nemmeno una volta ho mai avuto il tempo di chiedermi “Le mie canzoni sono letteratura?”.
Così devo ringraziare l’Accademia Svedese, sia per essersi presa il tempo di considerare questa grande domanda, sia per aver fornito una così meravigliosa risposta.
I miei migliori auguri a tutti voi, Bob Dylan

* Traduzione del discorso che Bob Dylan ha affidato ad Azita Raji, ambasciatore americano in Svezia, perché fosse letto a Stoccolma alla cerimonia di consegna dei premi Nobel 2016

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