Massimo Ranieri al San Carlo: «Riporto
la malìa di cantaNapoli nel teatro più bello del mondo»

Massimo Ranieri con Rita Marcotulli, Mauro Pagani, Enrico Rava e Stefano Di Battista
Massimo Ranieri con Rita Marcotulli, Mauro Pagani, Enrico Rava e Stefano Di Battista
di Federico Vacalebre
Giovedì 10 Novembre 2016, 11:53 - Ultimo agg. 12:23
3 Minuti di Lettura
Massimo Ranieri ormai è di casa al San Carlo, dove si è esibito in concerto più volte (nel 1988, nel 2005 e nel 2007) oltre che come regista lirico («L'elisir d'amore» nel 2005 e «La traviata» nel 2007). «Ma il teatro più bello del mondo mozza sempre il fiato», spiega lui, «e quello di stasera non è uno spettacolo qualunque. Anzi, mi sembra di tornare con l'emozione al debutto dell'estate scorsa a Umbria jazz: lì mi andavo a ficcare direttamente nella tana dell'orso, mi sottoponevo al giudizio degli esperti, qui il repertorio è... erba di casa mia, ma il giudizio sarà particolarmente esigente: i napoletani queste canzoni le conoscono, anzi le portano nel dna e nel sangue, e anche sul fronte del jazz, e del night, sono degli esperti mica male».

Già, Massimo, perché stasera porti in scena «Malìa», ovvero le canzoni del tuo ultimo album, hit della canzone partenopea tra gli anni Cinquanta e Sessanta riletti con un quintetto all star. «Proprio così: ho Enrico Rava alla tromba, Stefano Di Battista ai sassofoni, Rita Marcotulli al pianoforte, Riccardo Fioravanti al contrabbasso e Stefano Bagnoli alla batteria. Insieme, mettiamo mano a un canzoniere più recente dei classici dell'era d'oro: quello ballabile e contaminato; quello che io, classe 1951, non ho avuto modo di scoprire nei dancing frequentati dai soldati alleati alla ricerca di svago e whisky e compagnia femminile; quello che è servito come base per tutta la produzione canora successiva degli americani di Napoli, da Carosone a Pino Daniele sino ai rapper di oggi».

La scaletta coinciderà con l'album, lanciato con il tuo show su Raiuno? «In parte, dentro ci sono anche cose precedenti, come successive, penso al Pino Daniele di Tutta n'ata storia e alla Teresa De Sio di Aumm aumm: con Mauro Pagani, il mio Virgilio anche in questo viaggio alla ricerca della melodia recente perduta, siamo partiti da un decennio d'oro, ma poi in concerto finiamo per cercare i figli e i nipoti di quel periodo. Si inizia con il maestro di tutti noi, Carosone, appunto, con Tu vuo' fa l'americano, Torero e, se c'è spazio nei bis, 'O sarracino, per continuare con la Malatia di Armando Romeo lanciata da Mina/Baby Gate e poi portata al successo da Peppino Di Capri e via così».

Un nostalgico slow che sottolinea il lavoro autorale di napoletani adottivi come i molisani Ugo Calise («Uè uè che femmena») e Fred Bongusto «(«Doce doce»), il riminese Carlo Alberto Rossi («Nun è peccato»), il pugliese Domenico Modugno («Resta cu'mme»), il lùmbard Pino Calvi («Accarezzame»). Come funzionano questi brani con la complicità improvvisativa di Rava e compagnia jazzante? «In maniera straordinaria: sto imparando a prendere i fiati, a capire quando devo entrare e quando devo lasciare che a cantare sia la tromba di Enrico, il sassofono di Stefano o il pianoforte di Rita. C'è rispetto e amore nel loro approccio alla canzone napoletana, c'è rispetto e amore nel mio approccio alla loro arte, alla loro capacità di rendere davvero ogni sera diversa dall'altra, ogni esecuzione, ogni assolo.

Un approccio che piace molto anche al Ranieri teatrante, alla mia voglia di non ripetermi mai: non a caso dopo i dischi in chiave di world music sono approdato a queste sonorità così diverse». Il San Carlo è una cornice ideale per tutto questo. «La migliore. E credo che se il teatro dà lustro al nostro progetto, la canzone napoletana può servire al teatro: è un bene culturale da esportazione, troppo spesso snobbato, vilipeso, maltrattato e ridotto a bieca oleografie. Potrebbe essere il nostro biglietto da visita nel mondo: cantaNapoli merita un museo, un teatro in cui proporre i classici di ieri e di oggi a cittadini e turisti, una scuola dove gli ultimi grandi maestri, penso a Fausto Cigliano e Angela Luce e la Nccp, possano trasmettere i loro saperi, la loro malìa, alle nuove generazioni».
© RIPRODUZIONE RISERVATA