Sud, occupazione avanti piano: ancora sotto il livello del 2008

Sud, occupazione avanti piano: ancora sotto il livello del 2008
di Nando Santonastaso
Mercoledì 14 Marzo 2018, 08:30 - Ultimo agg. 09:29
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Quant’è lontano il 2008 per le regioni del Mezzogiorno. E non era un anno di quelli da incorniciare, con un Pil pro capite di 18mila euro in media, inferiore di diecimila euro alla media nazionale, un tasso di crescita negativo dell’1,1 per cento con la Campania indietro del 2,3 per cento, una disoccupazione – non solo giovanile – superiore di 7 punti percentuali rispetto alla media Italia. Dieci anni dopo l’Istat certifica che nessuna delle regioni del Sud è riuscita a riportarsi su quei valori che, come abbiamo visto, non erano affatto positivi e sarebbero anzi drammaticamente peggiorati nei sette anni successivi, quelli della grande recessione, dei 500mila posti di lavoro persi, del crollo incredibile degli investimenti pubblici. 

È forse questa la fotografia più emblematica del gap disoccupazionale scattata ieri dall’Istituto di statistica, a conferma di un divario che nemmeno le grosse performance registrate in alcune aree, come l’industria in Campania, riescono ad attutire. Tornata di moda sul piano politico dopo i risultati elettorali, la teoria dell’Italia divisa in due regge come non mai sul piano economico e sociale. Perché se è vero, come osserva l’Istat, che nel 2017 l’occupazione è cresciuta in tutte e tre le macroaree del Paese, è altrettanto vero che è aumentata di meno nel Sud (0,6% contro 0,8% del Nord e 0,7% del Centro).  
Ma soprattutto «mentre nel Centro-nord il tasso di occupazione raggiunge livelli pressoché analoghi a quelli del 2008, arrivando al 66,7% nel Nord e al 62,8% nel Centro, nel Mezzogiorno l’indicatore è ancora al di sotto del 2008 di 2 punti (44,0%)». E ancora: «Nelle regioni del Nord è più sostenuto anche l’incremento del tasso di occupazione 15-34 anni (+0,8 punti) in confronto alle regioni del Centro e del Mezzogiorno (+0,6 e +0,5 punti, rispettivamente). Gli incrementi del tasso di occupazione sono più consistenti per le donne, eccetto nel Mezzogiorno in cui la quota di donne occupate (appena un terzo) è in aumento di 0,5 punti in confronto a +0,6 degli uomini». E infine: «Nel 2017 anche il tasso di disoccupazione si riduce in tutte le ripartizioni ma i divari rimangono accentuati: nel Mezzogiorno (19,4%) è quasi tre volte quello del Nord (6,9%) e circa il doppio di quello del Centro (10,0%)».

È vero che ormai da tempo le medie sul Mezzogiorno vanno prese con le molle nel senso che proprio per effetto di quanto è accaduto negli anni della crisi il Sud si è parcellizzato sul piano economico e sociale in tante aree diverse l’una dall’altra, con andamenti assai differenti e sempre meno omogenei tra di loro. Ma è anche vero che tutte le differenze, specie sotto il profilo dell’occupazione, ribadiscono la distanza, in termini di posti di lavoro disponibili, di reddito percepito e di occasioni di impiego, con il sistema economico del Centronord, nettamente più in linea con lo scenario europeo e sicuramente più compatto anche nelle sue articolazioni regionali.

Per questo anche importanti segnali come la riduzione del tasso di disoccupazione (che però non compensa il sempre elevatissimo numero degli inattivi, specie tra i giovani under 29) restano sullo sfondo, legati più a fenomeni locali che congiunturali anche se - ed è un elemento da non trascurare – è possibile che lo scenario migliorerà nel 2018 quando entreranno a pieno regime elementi significativi per il rilancio del Sud come il credito d’imposta per gli investimenti, la nascita di nuova autoimprenditorialità con il piano «Resto al Sud» e la conclusione dei primi cantieri dei Patti per il Sud (sempre che le scadenze verranno rispettate). Di sicuro, però, da una breve e per forza di cose sommaria analisi dello stato dell’occupazione e della tenuta economica nelle regioni meridionali, si rafforza la sensazione che il peggio sia in parte passato ma che, senza una crescita di almeno il 2% all’anno per non meno di dieci anni, il nuovo non sia ancora iniziato. 

CAMPANIA
È con la Basilicata l’unica regione meridionale che presenta lo scostamento più piccolo del tasso di occupazione rispetto al 2008, meno 0,3%. Ma l’Istat racconta anche che rispetto all’anno precedente, ha un incremento del tasso di disoccupazione dello 0,6%, forse anche in questo caso per effetto degli inattivi. Se l’osservazione si allarga allo scenario economico complessivo, però, la Campania ha la spinta nettamente più accelerata verso la crescita. Al di là dei dati record dell’industria (+3,2%, un tasso sconosciuto persino ai tedeschi), colpiscono altri primati solo in apparenza meno rilevanti: è la regione con il maggior numero di imprese attive, con la quota maggiore di merci esportate in valore (10,4 miliardi nel 2017, +4 per cento rispetto al 2016), con il numero più alto di imprese in rete. La presenza di una solida base imprenditoriale, dicono Confindustria e Srm nell’ultimo Check up Mezzogiorno, fa la differenza nel Sud. Ma non possono essere sottovalutati anche altri dati, molto meno positivi: il tasso di abbandono scolastico, pure in forte diminuzione, si mantiene intorno al 18%, il livello medio di istruzione è elevato solo per i 15% della popolazione tra 15 e 64 ani e il grado di soddisfazione delle famiglie sulla loro condizione economica non supera il 58%.

PUGLIA
La città metropolitana di Bari è quella che ha registrato lo scorso anno uno degli incrementi maggiori del tasso di occupazione, con oltre 3 punti percentuali che nella sola città arrivano al 2,3%. È la conferma di un tendenza che vede nel rafforzamento del polo economico-produttivo del capoluogo regionale il segnale più vivace dell’economia regionale. Colpisce però, al di là dei dati sul lavoro, la sempre maggiore sinergia con la Campania nell’export dei prodotti delle loro maggiori filiere produttive, come cioè se le due regioni stessero quasi in silenzio sperimentando un sistema moderno di interrelazione decisamente anti-campanilismi. Oltre il 16% infatti della produzione campana nel settore aeronautico e il 18% di quella farmaceutica sono vendute in Puglia, mentre il 33% del “prodotto” aeronautico pugliese e il 28% di quello farmaceutico sono venduti ad aziende campane. Lo stesso accade anche nell’automotive, nell’abbigliamento e nell’agroalimentare: è una novità assoluta che forse le rispettive dimensioni politiche continuano ad ignorare.

BASILICATA 
Il trend di crescita, +0,9%, del 2016 lasciava presagire numeri importanti anche per il 2017.L’Istat in effetti conferma che la piccola regione è la più vicina ai livelli del 2008, il distacco è a quasi impercettibile: ma è dall’export e segnatamente dal settore petrolifero che arriva una frenata per effetto delle conseguenze della vicenda giudiziaria relativa agli stabilimenti Eni dell’area di Viggiano (il caso Tempa Rossa), tradizionale bacino estrattivo di riferimento per l’export nazionale di settore. Per l’auto, altro punto di forza del sistema lucano, le prospettive lega al polo Fca di Melfi restano stabili ma molto dipenderà dalla nuova missione produttiva dell’impianto, forse una versione più piccola della Renegade destinata all’Europa. La vera scommessa si chiama cultura e Matera capitale europea 2018 può far correre Pil, occupazione e reddito pro capite.

CALABRIA 
Se si leggessero i dati Istat senza ricordare il passato bisognerebbe quasi gridare al miracolo: è proprio in questa regione infatti che nel 2017 ci sono stati l’incremento più alto del tasso di occupazione, +1,2%, e la riduzione maggiore del tasso di disoccupazione, -1,6%. Ma è ben poco di fronte alla pesantezza della situazione preesistente: nel 2016 era la regione italiana ed europea più indietro, con oltre il 50% dei disoccupati maschili, il reddito pro capite più basso, sotto i 17mila euro, e una percentuale di fuga verso il Nord del Paese pari al 30% della popolazione attiva. In attesa del decollo della Zes di Gioia Tauro, lo scenario rimane a dir poco debole.

SICILIA 
È l’altra grande zavorra del Mezzogiorno. Qui solo la ripresa del turismo, dopo un pericoloso calo nel 2016, sembra incoraggiare la speranza di risalire la china. Solo nell’ultimo anno si calcola che 25mila siciliani hanno lasciato l’isola di cui 12mila giovani. Con un tasso di natalità pari al 10,8 per mille, è facile prevedere che la desertificazione demografica e intellettuale del Sud colpirà nei prossimi anni soprattutto qui. Gli occupati, non a caso, in Sicilia sono un milione e 370mila, pari al 27% dei residenti: per allineare l’isola a una regione come l’Emilia Romagna servirebbe un altro milione di posti di lavoro…
 
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