Gli studiosi del Nobel: i contratti
e le trappole della vita reale

Gli studiosi del Nobel: i contratti e le trappole della vita reale
di Giuseppe Berta
Martedì 11 Ottobre 2016, 10:05 - Ultimo agg. 14:37
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Quest'anno il Nobel nel campo degli studi economici ha premiato uno dei più grandi poli universitari del mondo, Boston, che vanta una posizione di primissimo piano tanto nelle scienze sociali che in quelli fisiche. Il riconoscimento è andato a due economisti che insegnano nelle due università più in vista della capitale del Massachusetts, Harvard e Mit. Ha la cattedra ad Harvard Oliver Hart e al Massachusetts Institute of Technology il suo collega Bengt Hollström. Né le analogie sono finite qui: la fama di entrambi gli studiosi è dovuta ai loro contributi alla teoria dei contratti, su cui ritorneremo tra un attimo. Hart e Hollström sono all'incirca coetanei, alle soglie dei settant'anni, e soprattutto non sono americani in senso stretto. Hart lo è diventato dal punto di vista della cittadinanza, ma è nato a Londra, da un'importante famiglia ebrea (suo bisnonno era un Montagu, cioè un esponente di una famiglia di finanzieri che fu al vertice delle istituzioni inglesi), mentre Hollström è nato in Finlandia e ha avuto anch'egli dei contatti non episodici col mondo del business (è stato consigliere di amministrazione della Nokia).

Leggendo le loro biografie accademiche e professionali si comprende subito quale sia la forza del sistema universitario americano, almeno nelle sue punte più alte: quella capacità di attrarre e di valorizzare le energie e i talenti migliori, che vengono assimilati all'interno di un sistema formativo ricco ed efficiente come nessun altro al mondo. La combinazione di risorse finanziarie e di strategie efficaci nella ricerca garantisce agli Stati Uniti un primato che è stato fin qui una chiave fondamentale del successo americano. Ma veniamo alla motivazione che è all'origine del conferimento del Nobel a Hart e Hollström. Che significa teoria dei contratti e perché essa è così rilevante per le dottrine economiche contemporanee? Ieri, sul web, si coglieva qualche commento un po' spaesato alla notizia: qualcuno osservava che se costoro si occupano prevalentemente di contratti, di regole e di norme, il loro settore specifico d'appartenenza dovrebbe essere il diritto e non l'economia.

L'osservazione suona magari ingenua, ma anch'essa può aiutare a capire le ragioni della scelta dell'Accademia svedese. Hart e Hollström si pongono nella scia di un filone di studi avviato da un altro Premio Nobel, anche lui, a sua volta, un professore d'origine inglese trapiantato in America e vissuto per oltre un secolo, Ronald Coase. Questi, quand'era un giovanissimo ricercatore appena uscito dalla London School of Economics, pubblicò nel 1937 un articolo su una rivista accademica in cui si chiedeva perché mai fosse necessaria l'organizzazione d'impresa perché il processo economico potesse svolgersi. In altri termini, si chiedeva Coase, qual è la natura dell'impresa? La sua risposta era che il sistema di mercato era un sistema di contratti. Chi svolge un'attività economica deve fare un contratto per impiegare i lavoratori di cui ha bisogno, un altro per assicurarsi le materie prime che deve trasformare, un altro ancora con la distribuzione per diffondere i suoi prodotti, e così via. Può un singolo operatore economico coordinare la stipula efficiente di questa catena di contratti che gli permettono di fare affari?

Evidentemente no: occorre una struttura in grado di governarli, ovvero di abbattere i costi di transazione, che altrimenti esploderebbero. Questa struttura è l'impresa, che coordina la rete delle relazioni economiche e ne ottimizza i costi. Hart e Hollström si sono spinti avanti lungo la strada inaugurata da Coase ottant'anni fa. Hanno esplorato i reticoli contrattuali in cui le imprese sono immerse e che delimitano il loro mutevole perimetro, allargandolo o restringendolo a seconda delle opportunità. Alcuni parlano di quest'approccio come di una forma di istituzionalismo, nel senso che analizza le norme e definisce le regole del gioco economico in cui le imprese sono coinvolte. I contratti servono a fissare tali regole, specialmente quando insorgono condizioni di incertezza come nelle economie d'oggi. Hart, in particolare, ha indagato problemi come quelli relativi alle fusioni tra sistemi aziendali: quando è davvero conveniente fondersi per due imprese? E quando invece non lo è? I suoi studi si sono focalizzati sul giusto mix fra debito e finanziamento dei sistemi aziendali. Si sono soffermati sui confini fra pubblico e privato: in America non ci sono soltanto scuole e ospedali privati, ma persino carceri. È davvero vantaggioso che lo siano? Hollström ha studiato invece contratti come quelli che legano i manager ai loro azionisti. Si tratta di accordi che riguardano il futuro e dunque sono difficili da specificare in dettaglio, specie se prevalgono situazioni di incertezza come l'attuale. Ecco allora che si deve stabilire chi abbia il diritto, fra proprietà e management di un'impresa, di indicare i contenuti precisi per ridurre l'area della discrezionalità. Come si vede, l'economia diviene, in questa prospettiva, una sorta di scienza del comportamento, costretta a muoversi in un ambito che non può essere distante né da quello del diritto né da quello della scienza politica. Un territorio che deve essere presidiato attraverso strumenti d'analisi soggetti a un'evoluzione incessante, stimolata dal cambiamento di una realtà economica che ogni giorno sfida teorie e modelli consolidati.
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