Poletti: «Finalmente il Sud è tornato competitivo. E l'occupazione crescerà anche nel 2016»

Poletti: «Finalmente il Sud è tornato competitivo. E l'occupazione crescerà anche nel 2016»
di Nando Santonastaso
Giovedì 11 Febbraio 2016, 09:26 - Ultimo agg. 09:30
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La frenata di dicembre della produzione industriale e il rischio che le stime dell'Istat sul Pil dell'ultimo trimestre 2015 siano inferiori alle previsioni del governo (il dato sarà reso noto domani) non cancellano l'ottimismo di Giuliano Poletti, ministro del Lavoro e Welfare. «La volatilità è nell'ordine delle cose. La Germania, ad esempio, si aspettava, a dicembre, un aumento della produzione industriale dello 0,4%, mentre deve registrare un -1,2%, dice dalla sua abitazione emiliana nella quale è costretto a curarsi un fastidioso malanno che gli impedirà di partecipare oggi a Napoli all'iniziativa di Cgil-Cisl-Uil sulla sicurezza del lavoro.

Non bisogna dunque temere che la pur piccola ripresa di questi ultimi tempi sia già a rischio?
«No. Non dimentichiamo che siamo usciti da una fase nella quale sono state soprattutto le esportazioni a mantenere a galla il nostro sistema economico, visto che i consumi interni erano molto bassi. Oggi c'è una condizione diversa: la domanda interna è migliorata e dunque se guardiamo il dato qualitativo non si può che essere ottimisti. L'effetto del Jobs act, degli 80 euro e delle altre misure messe in campo dal governo si fa sentire».

Molti analisti, però, anche non europei parlano di un ritorno della recessione. E le turbolenze dei mercati borsistici, al di là del rimbalzo dell'ultima seduta, ne sarebbero in qualche modo il prologo.
«Bisogna fare molta attenzione di fronte a certi fenomeni. Per restare un grande player internazionale l'Italia deve continuare sulla strada delle politiche di lungo periodo. Non si può cambiare direzione ogni volta che le borse vanno giù o il prezzo del petrolio crolla. Oltretutto si è capito che non è l'Italia il problema centrale di questa crisi: c'è più stabilità del passato nel nostro Paese e la garanzia di un sostegno forte come quello assicurato a tutta l'Ue dal governatore Bce Draghi ci rassicura».

E la frenata dell'occupazione? A dicembre, secondo molti analisti, a rallentare le nuove assunzioni sarebbe stata la fine della decontribuzione piena assicurata dalla legge di Stabilità 2015. Che ne pensa?
«Contesto questa interpretazione. Proprio perché parliamo del mese di dicembre dovrebbe essere vero il contrario: e cioè sarebbe stato poco saggio non approfittare dell'ultimo mese in cui lo sgravio era al massimo. La verità è che l'anno scorso sono stati creati 175mila posti di lavoro in più e che si sono registrati 250mila disoccupati in meno. E inoltre sono nati più nuovi contratti a tempo indeterminato che contratti trasformati da lavoro precario a lavoro stabile. Anche i numeri relativi al Sud sono migliorati: certo, sono ancora limitati ma comunque positivi».

Il fatto è, ministro, che gli sgravi 2015 per i neo assunti sono stati pagati da fondi destinati al Sud, ma alla fine la stragrande maggioranza dei nuovi posti di lavoro è nata nel Centro Nord. Non le pare un paradosso sconcertante? 
«C'è un dato che va considerato: in passato le risorse distribuite agli sgravi non avevano prodotto risultati positivi. Se questa svolta, oggi, c'è è perché il governo ha deciso di puntare a politiche strutturali che abbiano un impatto permanente su tutto il territorio nazionale. Basta con i piani speciali che costano tanto ma hanno un inizio e una fine favorendo spesso chi vuole approfittare dell'occasione e poi sparire».

È per questo, allora, che non si è voluto destinare anche nel 2016 lo sgravio pieno per i neo assunti solo al Sud? Non è la disoccupazione meridionale, specie fra i giovani, l'emergenza più grave?
«Un'emergenza che dura da otto, dieci e più anni non può più chiamarsi tale. Voglio dire, senza ovviamente nascondere la gravità del problema, che la vera esigenza del Mezzogiorno è di dotarsi di strumenti e di infrastrutture sociali, imprenditoriali e di pubblica amministrazione capaci di far funzionare le politiche messe in campo dal governo. Inutile pensare a progetti che restano in piedi un anno e poi, magari per un cambio di governo, scompaiono. Io credo, al contrario, che il trend positivo sull'occupazione continuerà anche quest'anno».

Cosa glielo fa pensare?
«Mi spiego. Nel 2015 abbiamo avuto il 34% in meno di ore di cassa integrazione. Se anche quest'anno, come speriamo, continuerà tale ritmo di riduzione, lo spazio per nuova occupazione sarà comunque più ampio. Con una crescita stimata nell'1,6%, come il governo ha indicato, ovviamente ci saranno ancora più nuovi occupati dello scorso anno».

Trecentomila, duecentocinquantamila in più? 
«Non mi faccia dare numeri. Ma è ragionevole pensare che potranno essere superiori a quelli del 2015. Non dimentichi, peraltro, che le previsioni sulla crescita non nascono a caso. Si sottovaluta, ad esempio, spesso il numero degli accordi raggiunti per salvare aziende in crisi come nel caso di Natuzzi che ha accettato di riallocare in Italia produzioni assegnate ad un Paese dell'Est europeo. O che gli investimenti stranieri in Italia sono passati da 50 a 75 miliardi. Il Jobs act ha accresciuto l'attrattiva del nostro Paese. Non a caso gruppi come Apple, Cisco e General electric ci hanno scelto per importanti iniziative industriali e di ricerca, nel Sud in particolare. Credo che sia anche l'effetto del masterplan per il Mezzogiorno la cornice per quelle ricadute di carattere permanente di cui ho parlato prima e che sono il presupposto per la crescita negli anni dei territori».

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