Questo ha significato un invecchiamento della forza lavoro bloccando di fatto il turn over in fabbriche e uffici. Rispetto alla metà degli anni Ottanta il reddito di coloro che hanno tra i 60 e i 64 anni è cresciuto del 25% in più rispetto a quello di coloro che hanno tra i 30 e i 34 anni con un ritmo quasi doppio rispetto alla media Ocse (13%). E la situazione rischia di peggiorare dato che le riforme delle pensioni hanno legato più strettamente i guadagni durante la vita lavorativa con l'importo della pensione al momento del ritiro. «La disuguaglianza nei salari durante la vita lavorativa - scrive l'Ocse - si trasformerà in disuguaglianza tra i pensionati». E se in media nei paesi Ocse si trasmettono due terzi della diseguaglianza nei guadagni lungo la vita lavorativa in Italia questa si avvicina al 100%.
Dati i gap significativi nel tasso di occupazione tra le persone istruite e quelle con bassi livelli di istruzione sarà difficile - sottolinea l'Organizzazione - assicurare una pensione «decente» a queste ultime e alle donne che spesso restano fuori dal mercato del lavoro anche a causa del lavoro di cura.
Bisognerebbe - suggerisce l'Ocse - intervenire sui servizi all'infanzia e su quelli educativi per dare maggiori opportunità alle donne liberandole da una parte dei lavori di cura e ai giovani migliorando anche la transizione tra la scuola e il lavoro. L'Ocse sottolinea come nell'accesso alle pensioni siano svantaggiate le persone con redditi più bassi e meno istruite dato che hanno un'aspettativa di vita in media più bassa e quindi godono della pensione per meno tempo. In Italia la differenza nell'aspettativa di vita tra chi ha livelli bassi e alti di educazione è il più basso tra i paesi industrializzati con quattro anni in meno per gli uomini meno istruiti guardando a quella fissata a 25 anni (7,5 la media Ocse) e due (3,5 la media Ocse) guardando ai 65 anni.