Nomina Consob, prove di grande intesa: dialogo Gentiloni-Berlusconi

Nomina Consob, prove di grande intesa: dialogo Gentiloni-Berlusconi
di Alberto Gentili
Martedì 19 Dicembre 2017, 09:56 - Ultimo agg. 10:52
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Sembrava che i veleni e lo scontro sulle banche, il fango nel ventilatore, lo scaricabarile tra Bankitalia e Consob sui difetti di vigilanza che hanno favorito le crisi bancarie e spedito migliaia di risparmiatori sul lastrico, avessero suggerito a Paolo Gentiloni una brusca frenata. Invece no. Contrordine: venerdì il governo procederà alla nomina del successore di Giuseppe Vegas, scaduto il 15 dicembre. E lo farà proprio per chiudere quella che ormai viene considerata la stagione opaca della Consob.

In questa accelerazione, le novità di metodo e di merito non mancano. Dopo il pandemonio di ottobre, quando Matteo Renzi ha innescato una mezza crisi istituzionale con l'assalto (andato a vuoto) contro la riconferma del governatore di Bankitalia Ignazio Visco, il clima è mutato. Il segretario dem, indebolito dall'affaire-Boschi e dai sondaggi in picchiata, avrebbe compiuto un passo indietro. Per non andare di nuovo alla guerra contro l'«amico Paolo», avrebbe deciso di scegliere un profilo basso e di lasciare il dossier nelle mani del premier. Anzi, di un triangolo istituzionale composto da Quirinale, Tesoro e, appunto, palazzo Chigi. Con Luca Lotti, il braccio destro di Renzi nell'insidioso settore delle nomine, nel ruolo di osservatore. Al massimo di suggeritore. Non di regista come ai tempi d'oro del renzismo.
 
Ebbene, la prima indicazione cara a Sergio Mattarella e condivisa dal ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan e da Gentiloni, è che la scelta - in nome della terzietà - non debba cadere su chi attualmente ricopre incarichi nel governo attuale. Così sembra evaporare una candidatura ritenuta «molto forte» fino a qualche giorno fa. Quella di Roberto Garofoli, capo di gabinetto di Padoan, con un passato alla Farnesina con Massimo D'Alema e a palazzo Chigi con Enrico Letta. Epilogo gradito a Renzi che, proprio per questi trascorsi, non ha mai amato Garofoli.

L'altra novità è più politica. Ed è di prospettiva: nella partita per la scelta del successore di Vegas, Gentiloni ha coinvolto Fi. C'è chi dice come primo assaggio, e giro di prova, della grande coalizione post-elettorale: epilogo probabile in caso di pareggio alle urne. Chi invece sostiene che si tratta di una «scelta pragmatica»: la maggioranza si è liquefatta e i voti forzisti sono indispensabili nelle commissioni Finanze di Camera e Senato per ottenere il sì alla nomina. Di certo, c'è che del dossier se ne sta occupando il capogruppo forzista in Senato, Paolo Romani, da tempo ufficiale di collegamento tra Berlusconi, Pd e Palazzo Chigi. E sull'elenco dei nomi vigila discretamente anche Antonio Tajani.

Il coinvolgimento del presidente dell'Europarlamento, possibile candidato del Cavaliere nel ruolo di premier in caso di vittoria del centrodestra alle elezioni, conduce alla terza novità. Nei prossimi mesi e anni la Consob, in vista del rafforzamento dell'Unione finanziaria europea connessa a quella bancaria, dovrà interfacciarsi con la Commissione di Bruxelles. Ed ecco, di riflesso, che tornano forti due euroburocrati di elevato standing che nella capitale belga vivono e lavorano da tempo. Il primo: Mario Nava (il più gradito a Fi), responsabile della direzione generale «Mercato interno e servizi» della Commissione europea, bocconiano, un passato con Mario Monti quando era commissario. Il secondo: Marco Buti, potente direttore generale agli Affari economici e finanziari, toscano e con un profilo più di centrosinistra, la cui nomina a Bruxelles è già stata prorogata e dunque prossima alla scadenza. Anche Carmine Di Noia, attuale consigliere Consob, conosce bene i dossier internazionali, ma il suo upgrading a presidente appare frenato dall'intenzione del Triangolo istituzionale di creare «una discontinuità». Come finirà si scoprirà venerdì. Tutti gli interessati garantiscono: «Non esiste ancora un accordo». Ma non è un caso che siano già evaporate candidature ritenute fortissime, come quella di Paolo Ciocca graditissimo a Renzi.
 

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