Dolce vita, l'export dell'eccellenza Made in Italy vale 122 miliardi. E c’è ancora potenziale per 96 miliardi

Confindustria: export a 122 miliardi e possono crescere. Pandemia e conflitti, il direttore del Centro Studi Alessandro Fontana: «I cambiamenti nuova normalità»

Dolce vita, l'export dell'eccellenza Made in Italy vale 122 miliardi. E c’è ancora potenziale per 96 miliardi
Alessandra Camillettidi Alessandra Camilletti
Mercoledì 1 Novembre 2023, 16:05 - Ultimo agg. 2 Novembre, 14:36
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Subito un primo numero. L’export del bello e ben fatto, eccellenza del Made in Italy, vale 122 miliardi di euro.

Moda, alimentare, arredo, ma anche ceramica, cosmetica, nautica, automotive. Esportare la Dolce Vita si può. Anzi, si potrebbe ancora di più. Dati alla mano, il rapporto 2023 del Centro studi Confindustria (Esportare la Dolce vita, appunto) indica un margine potenziale di incremento delle esportazioni pari a 96 miliardi di euro. E pone una riflessione, nel segno della resilienza. Pandemia, lockdown, interruzione delle catene di approvvigionamento internazionali, guerra in Ucraina, il tema del gas, il rialzo dell’inflazione, le politiche monetarie restrittive. Tutto in tre anni. La dodicesima edizione del Rapporto doveva essere quella di un ritorno alla normalità post pandemia. Ma non è stato così. L’elevato grado di incertezza persiste – si sottolinea nel report – perché difficilmente si tornerà al business come lo conoscevamo pre-Covid. Eppure i numeri dicono che l’export BBF nel 2022 è cresciuto del 27% circa rispetto alla media del triennio 2019-2021, con una «performance superiore rispetto a Francia, Germania e Spagna». Peraltro, in uno scenario caratterizzato da un’impennata dell’inflazione, al 7,3% di media nei Paesi avanzati e al 9,8 negli emergentìi. Ora alla storia si aggiunge la guerra in Medio Oriente. Il business unusual diventerà la norma? «Non torneremo a condizioni di normalità perché i cambiamenti sono all’ordine del giorno. Le imprese lo hanno capito perfettamente e si attrezzano per gestire i cambiamenti, in maniera strutturale», sottolinea Alessandro Fontana, direttore del Centro Studi Confindustria. «Si calcola che una quota elevata di imprese italiane, oltre il 20%, abbia trovato in questi anni altri fornitori, magari tenendo due canali aperti. E parecchi imprenditori hanno ampliato la rete con fornitori italiani». Reshoring e nearshoring insegnano. Ripartiamo dai dati. Cuore dell’analisi, il bello e ben fatto, appunto, i cui pilastri portanti sono le “3F” (fashion, food, forniture). Prodotti che in molti casi fanno mercato a sé e per cui i consumatori di tutto il mondo «sono disposti a riconoscere un valore superiore rispetto al prodotto di un competitor, e a pagare di più per averlo», sottolinea lo studio. Prodotti che si contraddistinguono per design, cura, materiali e lavorazioni e che contribuiscono a diffondere nel mondo l’Italian way of life. Si calcola che su 5.388 prodotti esportati dall’Italia, 1.348 possono essere considerati beni di consumo. Le categorie che delineano il perimetro BBF sono 711 (317 legate alla moda) e rappresentano il 53% dei beni finali di consumo e il 26,6% del valore delle esportazioni totali nazionali.

LA TENDENZA

 La Nautica nel 2022 si è attestata su valori superiori del 33% rispetto alla media del triennio precedente.

Il macrosistema arredamento e illuminazione del 24%. La ceramica del 28, gioielleria-oreficeria del 45. Stati Uniti e Cina, tra i Paesi destinatari pilastro, fanno registrare una netta crescita, più contenuta invece per l’Europa (che assorbe comunque quasi il 45% delle esportazioni BBF). Verso gli Usa l’export delle eccellenze ha segnato un più 48% sul periodo 2019-2021, verso la Cina un più 39%. Singapore rimane il primo mercato Asean, in crescita del 34% sul 2021. Salgono Malesia e Thailandia. Uno spaccato in un quadro generale dell’export che, nel 2022, ricorda Fontana, «ha fatto registrare un record, con il dato straordinario di 600 miliardi di euro».

LE SFIDE

 Le eccellenze italiane si dirigono in prevalenza verso i mercati avanzati, che assorbono circa 104 miliardi di euro sul valore totale. A 19 miliardi l’export delle eccellenze verso i Paesi emergenti. Dove si può migliorare? Il potenziale è calcolato dal Centro Studi Confindustria valutando il possibile ampliamento delle attuali quote di mercato rispetto a quelle dei concorrenti che hanno caratteristiche simili a quelle dell’Italia. E si ripartisce per 74 miliardi nei Paesi avanzati e per 22 negli emergenti. «Da un decennio a questa parte è in atto un processo di miglioramento qualitativo dei beni di eccellenza. L’Italia ha intercettato meglio di altri questa esigenza», sottolinea Fontana. Gli Stati Uniti sono il mercato con il più alto potenziale in termini assoluti: 22,6 miliardi di euro di possibile export aggiuntivo. Germania, Giappone e Regno Unito, per esempio, valgono nel complesso 14,3 miliardi. Un alto margine c’è nella Corea del Sud: un potenziale sfruttabile del 65%. Paesi avanzati ed emergenti pongono sfide diverse. Spiega lo studio: «Le economie mature hanno trend poco dinamici: la crescita si ottiene cercando di erodere quote di mercato ai concorrenti o non perdendone. Le economie emergenti hanno un peso più esiguo sul commercio mondiale, ma sono in espansione da due decenni e con prospettive di crescita più rapide. Presentano però criticità legate sia alla stabilità economica sia all’incertezza sulle tendenze geopolitiche in atto». Sottolinea Alessandro Fontana: «La frammentazione geopolitica è un elemento da valutare. L’abbiamo visto con la guerra in Ucraina e si sta ribadendo con la crisi in Medio Oriente. Fino a prima del 2018 era facile, il mondo era relativamente “piatto”: si poteva produrre all’estero e vendere in tutto il mondo. Il meccanismo ora è cambiato. Riuscirò a rifornirmi sempre da quel Paese o da quell’impresa in quel Paese? È il tema della vulnerabilità della rete produttiva. Un po’ come accaduto con il gas. Fino a qualche anno fa i rischi interni per l’export potevano legarsi a mancati pagamenti o a fallimenti. Adesso tocca approvvigionamenti e vendite». Il risvolto: «Oggi i dubbi sono anche sugli investimenti produttivi. I Paesi avanzati si muovono sui Paesi avanzati. Si cerca la filiera sicura garantita». Anche in un’ottica di sostenibilità. Criterio preso in considerazione per gli acquisti dal 70% dei consumatori. 

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