Lotta al precariato, contratti a tempo determinato più cari in Italia

Lotta al precariato, contratti a tempo determinato più cari in Italia
di Luca Cifoni
Sabato 23 Settembre 2017, 09:00 - Ultimo agg. 12:17
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Roma. Aumentare ancora il differenziale di costo, in termini di contributi, tra i contratti a tempo indeterminato e quelli a termine, per rendere meno complicato il ricorso a questi ultimi. Un'idea che potrebbe tentare il governo in vista della legge di bilancio e che certo incontra una buona accoglienza da parte dei sindacati: reazioni favorevoli sono già arrivate dalla segretaria generale della Cisl Furlan ed anche dalla Uil. Sarebbe in qualche modo una risposta ai dati recenti in materia di occupazione, che evidenziano una crescita molto più vivace dei contratti a tempo determinato rispetto a quelli fissi. Ma si tratterebbe comunque di un incremento del costo del lavoro almeno per un segmento del mercato, mentre vengono dimezzati gli oneri per l'assunzione di giovani: l'ipotesi - che tecnicamente prevede un incremento del contributo aggiuntivo versato per la Naspi nelle situazioni di lavoro non stabile, già pari all'1,4 per cento - viene quindi esaminata con grande cautela. Al centro del provvedimento governativo resta il dimezzamento degli oneri contributivi per i giovani neoassunti.

In realtà manca quasi un mese al momento in cui la legge di Bilancio deve essere trasmessa alle Camere. Oggi intanto in Consiglio dei ministri dovrebbe arrivare il via libera alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Nadef) che comprende le nuove previsioni su Pil e finanza pubblica, nonché gli obiettivi programmatici che il governo conta di raggiungere grazie alle proprie misure di politica economica. La riunione di governo era in realtà attesa per ieri ma poi è slittata perché il ministero dell'Economia nel mettere a punto le cifre deve tener conto anche dei dati resi noti ieri dall'Istat sul consuntivo 2015 e 2016. La revisione operata dall'Istituto di statistica sui numeri diffusi lo scorso marzo è di segno positivo. In particolare per il 2015, anno in cui l'incremento del prodotto interno lordo viene ora quantificato nell'1 per cento invece che nello 0,8. Per il 2016 è invece confermato il +0,9 già registrato. La maggiore crescita, legata ad una dinamica più favorevole dei consumi delle famiglie, porta con sé un aumento del Pil nominale. E di conseguenza, visto che cresce il denominatore, una riduzione del rapporto debito/Pil: si scopre a ritroso che era calato al 131,5 per cento dal 131,8 del 2014, per poi risalire lo scorso anno al 132. Dunque una prima riduzione del rapporto già c'era stata, pur se seguita da una risalita lo scorso anno. Nel 2016 l'incidenza del debito è arrivata al 132 per cento, invece del 132,6 precedentemente calcolato. Oggi con la Nota di aggiornamento si conoscerà la stima del governo per il 2017: si tratterà con tutta probabilità di un valore sostanzialmente stabile, se non proprio in ribasso.